Counseling e amici: sono la stessa cosa?

“Perché dovrei rivolgermi ad un counselor, per fortuna ho tanti amici”!

Questa è una frase che ho sentito pronunciare spesso negli anni.

Senza negare l’indubbio ed inestimabile valore di avere una rete di amicizie nutrienti e sane nella nostra vita, a volte queste non bastano, o meglio, operano su un piano diverso da quello in cui si colloca invece il counseling.

Per esempio: ti capita mai di rivolgerti ad un amico o un’amica per raccontare una tua preoccupazione del momento, una paura che hai, qualcosa di forte che ti è capitato e ti ha scombussolato un po’, e ricevere indietro un altro racconto personale? Come: “Non mi dire, anche a me è capitato questo quello e quell’altro”!

Oppure arriva il consiglio: “Eh ma devi lasciarlo! É chiaro che non ti ama”! O anche un giudizio: “Te l’avevo detto io! Sei troppo *aggettivo a scelta*, se avessi fatto quello che ti dicevo non saresti in questa situazione”!

Prova anche a pensare se ti capita di essere tu a parlare così ad un amico che si confida.

I volumi possono naturalmente essere diversi, dal più dolce al più aggressivo, ma quello che viene a mancare in un rapporto amicale sono alcuni dettagli che invece fanno del counseling una professione della relazione di aiuto.

Ecco i principali:

  • il counselor sospende il giudizio: non ha il compito di giudicare le scelte di vita o i valori del proprio cliente, fatti salvi limiti etici e deontologici.
  • Il counselor usa l’empatia, non la simpatia: la prima è la capacità di entrare in connessione con le emozioni del cliente, di sentirle, per poi restituirgliele. La seconda è quella che fa sì che con gli amici ci venga da dire “anche io così, anche a me è sucesso, pensa che io…”. Quando c’è simpatia ci identifichiamo nella situazione emotiva dell’altro, mentre l’empatia ci serve da ponte per entrare in contatto con lui, mantenendo però la nostra centratura.
  • Il counselor lavora per l’autonomia del cliente, vale a dire che lo facilita nell’esplorazione delle proprie risorse per far sì che da lui arrivino soluzioni alternative ai propri disagi quotidiani. L’amico facilmente propone soluzioni per lui valide alla luce delle proprie esperienze, dei propri valori e dei propri pregiudizi.

Con questo intendo dire che il counselor è santo e l’amicizia una fregatura? Assolutamente no!

L’ho detto nella premessa: le amicizie sane e nutrienti sono fondamentali, e con sano non intendo perfetto. Confrontarci con chi, come noi, affronta le sue sfide quotidiane è importante. Mettere su un piatto le nostre esperienze, le nostre vulnerabilità con chi ci vuole bene, è una coccola all’anima.

Un setting con un counselor, per affrontare un argomento specifico, è semplicemente un’altra cosa. É un aiuto professionale da parte di qualcuno che, appunto, si è formato appositamente acquisendo gli strumenti per facilitare il cliente in un percorso di auto conoscenza e di scoperta o ri-scoperta delle proprie risorse.

Un rapporto diverso, con ruoli diversi e finalità diverse da quelle, seppure, ribadisco, fondamentali, come quelle di un’amicizia.

Perciò, anche se abbiamo la fortuna di avere tanti cari amici intorno, non esitiamo a chiedere un aiuto professionale quando sentiamo che ci sarebbe utile. É un dono a noi stessi e una facilitazione che può davvero risparmiarci molto tempo speso bloccati tra dubbi e paure, mostrandoci vie che fino a quel  momento non eravamo in grado di vedere.

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