Riflessi d’inconscio

Postato da on June 16, 2013 in eso-pensieri | 0 commenti

Riflessi d’inconscio

Nel precedente articolo abbiamo visto come le immagini interiori che il nostro inconscio ci presenta attraverso i sogni debbano essere prese in seria considerazione. “Qualcosa” in noi, mentre la nostra razionalità dorme, si occupa di intessere il contenuto onirico necessario alla nostra crescita interiore, mettendoci in contatto con quegli “attori” che popolano le nostre notti. Stiamo parlando quindi di una forma di relazione e di comunicazione che ci consente di trovare un giusto ed equilibrato rapporto con le immagini che provengono dall’inconscio. Immagini dunque. Simboli che rimandano ad un qui pro quo, che è necessario approfondire con un esempio. Per farlo utilizzerò un mio sogno:

“Mi trovo in compagnia di mia nonna. La abbraccio e sento una forte sensazione di amore. Le chiedo di rivederci in un altro sogno e lei felicemente accetta. Ho paura però che si possa trasformare in un cadavere mentre ci abbracciamo, cosa che effettivamente avviene, anche se alla fine la cosa non è così spaventosa come immaginavo. Letteralmente rimango incastrato nelle sue ossa ed in qualche modo cerco di liberarmi.”

Ecco comparire un primo attore, mia nonna. Capita frequentemente che i cultori di spiritismo, davanti a questo genere di sogni, diano per scontato che vi sia stato un contatto medianico con la persona defunta e che questa si presenti direttamente all’interno del tessuto onirico. Alcune volte questa cosa può effettivamente accadere e molto dipende anche da una certa predisposizione del sognatore, tuttavia iniziamo col dire che generalmente si tratta di un’eccezione. Prendiamo dunque questi “attori” per quello che sono, ovvero per sub personalità del sognatore o, per utilizzare una definizione molto elegante coniata dai coniugi Stone’s 1, si tratta dei diversi “Sé” di cui siamo composti. Esistono due principali ragioni per le quali queste materie “alchemiche”, ognuna con il suo specifico carattere e qualità, vivono nel nostro inconscio, escluse quindi dalla nostra ordinaria coscienza. La prima di queste motivazioni attiene alla formazione della nostra personalità.

La primissima forma di relazione che ognuno di noi ha intrattenuto è stata quella con le figure genitoriali di riferimento. L’ambito di queste relazioni è stato largamente esplorato dalla psicologia arrivando, pur se in forme diverse, a stabilire alcuni principi. Le strategie che hanno avuto successo nel relazionarsi con i nostri genitori per ottenere il loro affetto e la loro approvazione sono diventate parti integranti del nostro carattere conscio e quindi tutti quei “Sé” di “successo” sono entranti a far parte di quella che Jung definisce “personalità”, che forma la maschera attraverso la quale ci relazioniamo con il mondo esterno. Tutte quelle parti di noi che invece sono state rifiutate sono sprofondate man mano nell’inconscio, vivendo come “rinneghi” di cui normalmente non abbiamo alcuna consapevolezza. In questo caso Jung parla di “Ombra”. Ecco quindi che possiamo iniziare a delineare il profilo degli “attori” che compaiono sul palcoscenico dei nostri sogni. Se il nostro adattamento all’ambito familiare ed alla vita ha richiesto, ad esempio, il rigetto dei nostri “Sé” emotivi perché considerati e giudicati come fonte di debolezza, tutto il comparto delle nostre sub personalità legate alla sfera del femminile, che è quella connessa con gli aspetti emotivi, finisce per essere rinnegato ed inizia a vivere nell’ombra dell’inconscio. Nel corso degli anni “qualcosa” che vive nella profondità di noi stessi, nota che il nostro atteggiamento nei confronti delle emozioni è troppo unilaterale. L’aspetto emotivo non è portato adeguatamente nella vita diurna e questa carenza deve essere riequilibrata in qualche modo. Allora questo “qualcosa”, di cui, non temente, arriverò a dare un definizione, tesse un sogno che ci mette in diretto contatto con quell’attore che porta proprio l’aspetto di cui siamo carenti, nel caso specifico del mio sogno, mia “nonna” che simboleggia la radice del mio femminile. Proseguiamo ora nel viaggio onirico che avevamo iniziato:

“Alzo lo sguardo e vedo la luna (tutto il pianeta!) precipitare sopra una torre che esplode in un milione di pezzi. Una specie di gigantesco ciclone di terra mi insegue ed una voce possente nell’aria dice ‘PORTAMI NELLA TUA VITA! PORTAMI NELLA TUA VITA!’. Ad un certo punto vedo un bambino nella traiettoria del tornado. Questo bambino dice a voce alta ‘Io non ho paura di te!’. Questa frase viene pronunciata con tutta l’innocenza del mondo. Il ciclone si arresta immediatamente e si trasforma in una mamma da ‘fiaba’ che si avvicina al bambino stupita, sconvolta e sorridente. Abbraccia il bambino ed io mi rendo conto che il fatto che il bambino non abbia avuto paura di lei sia stato un fattore determinante ad interrompere la furia distruttrice dell’uragano ed a trasformarlo in madre.”

Nel primo come nel secondo spezzone di sogno il femminile, rappresentato rispettivamente da mia nonna e dalla luna, viene percepito come ambiguo, spaventoso e distruttore…ma è realmente così?

Ovviamente no, ma ciascuno di noi nel corso della vita accumula delle esperienze gioiose o dolorose che “costellano” un archetipo. In questo caso l’archetipo del femminile è stato “costellato” da esperienze negative in quanto negativa è stata l’esperienza e la percezione del femminile nel corso dell’infanzia. Precisamente in questo punto il rapporto con le figure oniriche diventa una questione di relazione. Nessun archetipo, per quanto possa sembrare spaventoso all’interno dei nostri sogni, è ontologicamente “spaventoso”, ma può apparirlo nel momento in cui il nostro rapporto con quel genere di energia inconscia è stato negativo. Un’energia è quella che è, il modo in cui la percepiamo dipende dalla relazione che intratteniamo con lei. Lavorare con le immagini oniriche aiuta quindi pian piano a ripulire il “filtro” con il quale osserviamo la realtà interiore e di conseguenza quella esteriore.



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Note:

  1. Psicoterapeuti statunitensi ad orientamento junghiano che hanno dato vita ad una corrente chiamata “Voice dialogue”.

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