La dea Era, quella parte di noi che mira a ricostruire l’unità tra maschile e femminile

La mitologia racconta di Era come della regina dell’Olimpo e Sposa per eccellenza di Zeus, padre di tutti gli dei. Questa importante dea, discendente diretta della Grande Madre delle origini, ha sofferto più di altre l’avvento del patriarcato, come testimoniano i lati oscuri che l’hanno resa celebre. Figlia di Rea e Crono, fu ingoiata dal padre. Ira, gelosia e invidia sono tracce indelebili dell’originaria ferita provocata da lui. Conseguenze della rottura con il maschile, quindi, sanciscono anche l’importanza che per lei riveste e l’anelito a ricongiungercisi. Non a caso, più che il marito Zeus, coniuge infedele e libertino, la sua collera investe con più gravosità le amanti. Era è l’archetipo della donna che ambisce a ricostituire l’unità, trovando in essa la sua realizzazione. È la sposa dedita e fedele, quella che trova l’unione con il suo pari. Tanto che il mito la vuole anche sorella di Zeus, suo perfetto doppio maschile, e tramanda come lei, ogni qual volta faceva bagni nella sorgente Kanathos, ritrovasse la verginità per ricelebrare con il marito le nozze.

Quando Zeus la incontra per la prima volta, la impietosisce assumendo le sembianze di un cuculo durante la tempesta. Lei lo protegge sotto la sua veste e il dio riprende il suo solito aspetto per sedurla. Ma Era rifiuta ogni avance, finché lui non decide di sposarla. Patrona dell’integrità del legame, ad Era non interessa di trovare realizzazione come madre. Al pari di Zeus, infatti, può generare figli da sola, anche se quelli cui da vita risultano imperfetti e li ripudia. È il caso di Efesto, che, nato storpio, viene scaraventato da lei giù dal Monte Olimpo.

La sessualità per questa dea non riveste un interesse a sé stante. È funzionale alla relazione, poiché rientra nei doveri coniugali. La ricerca dello hierogamos, il matrimonio sacro, senza cui l’energia Era non trova appagamento, si presta ad una doppia lettura. In chiave psicologica denota il desiderio della relazione legittimata, basata sulla condivisione di valori, cui dedicarsi profondamente e in cui il compagno rappresenta davvero l’altra parte di sé. In chiave esoterica, ma i confini tra le due sono veramente labili, simbolizza l’anelito primario ad una perfetta e sacra integrazione del maschile e femminile, principi complementari e opposti che si fondono per la realizzazione del proprio essere.

Come tutte le dee lunari, la Signora dell’Olimpo ha una natura trina. In primavera veniva adorata come Era Parthenos (fanciulla, vergine), in estate e in autunno come Teleia (compiuta), in inverno come Chera (vedova). Ciò evidenzia un’altra risorsa di questo archetipo, che conosce il potere del ciclo. Le tre età rappresentano, infatti, le stagioni della vita, ma, come tali, possono riferirsi anche alle fasi della relazione. In entrambi i casi, Era mostra la sua saggezza nella comprensione della ricchezza che ogni età comporta. La vedovanza è il momento in cui si ritira in se stessa per maturare l’idea del cambiamento rispetto ad una situazione che ha finito il suo tempo e non ha più ragion d’essere. La verginità esprime la potenza del rinnovamento, la capacità di ritrovare l’energia e l’entusiasmo per una nuova condizione. La compiutezza è il coronamento, la piena maturità di ciò che si vive e che trova la sua appagante realizzazione.

Era è la parte di noi che tende a sentirsi realizzata solo all’interno di una relazione di coppia, lì dove può accudire il partner essendo sposa perfetta. Ha infatti il dono della dedizione totale, che chiaramente si trasforma in disagio quando esclude la propria natura di individuo.

Succede a molti… quando siamo in un rapporto da tempo, ci dimentichiamo che prima di essere coppia siamo persona e che tra l’altro una relazione d’amore funziona bene e meglio quando siamo in grado di reinvestirci energie cui attingiamo da altre esperienze. I nostri interessi, le passioni, i rapporti umani e in generale il confronto con una quotidianità vissuta a titolo individuale ci danno l’opportunità di crescere, di ampliare la prospettiva da cui valutiamo la coppia, di investire rinnovato entusiasmo e di portare novità ad un sistema che altrimenti diventa chiuso e stanco, consolidandosi in un adattamento continuo che è sfinente.

La coppia chiusa è infatti quella in cui il senso di stabilità abbonda, diventando quasi asfittico. Pur di non rischiare qualcosa, ci si ritrova a prediligere la calma piatta. I due partners si adeguano continuamente l’uno all’altra, con la conseguenza di conoscersi veramente solo per il ruolo che interpretano di solito nel rapporto  e perdendo il desiderio di guardarsi in maniera sempre rinnovata.

Perdendo il desiderio… questo è il punto, poiché l’eccesso di stabilità e di sicurezza spegne la passione e alla sensualità/sessualità si preferisce l’affettività pacata, che forse appaga in parte bisogni del bambino interiore, ma attiva nella coppia dinamiche genitore/figlio, che poco hanno a che fare con la vera intimità e con il sentire anche una complicità da amanti.

Inoltre paradossalmente, quel senso di stabilità che dovrebbe rassicurare, alla lunga annoia la parte bambina, che fugge dal rapporto portando via con sé gioco, leggerezza, meraviglia

Molto spesso ci siamo percepiti incompleti, incompresi e soli. Abbiamo così speso parte della nostra esistenza a cercare nella relazione intima ciò che ci manca, caricando l’eventuale compagno della responsabilità di dover incarnare l’altra perfetta metà di noi, come ha tentato di fare Era con il suo Zeus. In realtà il matrimonio sacro, anelito alla legittimità e al riconoscimento di ciò che siamo, di cui lei è paladina, è emblema di una ricerca più profonda, che è l’integrazione di un sano maschile in noi e che possiamo avviare. Per vivere una relazione in maniera sana, bisogna infatti ricordare che dobbiamo prima di tutto investire sulla realizzazione individuale. L’amore non deve essere bisogno o dipendenza, l’opportunità di proiettare sul partner mancanze e scopi di vita. L’amore nasce su basi di autonomia e più lavoriamo sulla nostra autonomia più siamo in grado di dedicare ad un’altra persona sentimenti puri, privi di aspettative e ricchi di cose da offrire e condividere. La nostra Era evoluta può essere quindi l’opportunità di vivere un’unione sacra tra maschile e femminile prima dentro di noi, per poi rifletterla serenamente anche in un’eventuale relazione

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