L’abbraccio di Ragione e Follia

 

Il Teatro Patologico: sono venuta a conoscenza di questa realtà solo casualmente curiosando nel web e ho spulciato volentieri il loro sito, che mi ha fatto venir voglia di andare a conoscere le loro opere presto dal vivo.

Il Teatro Patologico è un’associazione culturale nata nel 1992, da un’idea di Dario D’ambrosi, che ne è tutt’ora il direttore artistico, con l’intento di trovare un contatto tra il teatro e le patologie mentali gravi.

La sua sede è a Roma dal 2009, ed ospita anche il primo corso universitario di formazione teatrale per ragazzi disabili psichici.

Grazie all’interazione di docenti, allievi, assistenti sociali, operatori sociali e il prezioso coinvolgimento dei familiari degli allievi, è stato creato una sorta di grande laboratorio con il fine di stimolare la libertà creativa dei ragazzi, senza influenzare didatticamente la loro fantasia e la loro sensibilità

Gli spettacoli, frutto del loro straordinario lavoro, sono andati in scena in tutto il mondo (negli Usa oltre che in tante capitali europee), grazie anche al fondatore che è un artista d’avanguardia, attore e regista teatrale presente sulla scena internazionale, che sembra meritevole dei suoi tanti successi in ambito teatrale e cinematografico.

Per l’idea che mi sono fatta con la sola “conoscenza virtuale”, trovo sia una realtà speciale (tra le tante iniziative esistenti dedicate all’espressione artistica per le persone disabili).

In primo luogo per il coraggio del suo fondatore che quasi trent’anni fa ha iniziato la sua personale ricerca sulla follia e che, attraverso trasposizioni teatrali di così alto livello, continua ad indagare sui tanti stati della malattia mentale con l’intento di rendere “dignità al matto”.

Audace (ancor più per quei tempi) la scelta del nome dell’associazione: senza giri di parole dà centralità alla patologia mentale protagonista dell’associazione e di tutte le sue creazioni

E mi sembra notevole l’opportunità di un vero percorso di studi universitario in ambito teatrale per disabili psichici, oltre al livello di approfondimento e professionalità

E’complesso sperimentare un simile progetto in ambito di disabilità psichica, considerando anche semplicemente il comune atteggiamento di chi guarda da profano o estraneo a certe realtà.

Proviamo a pensare se, spontaneamente, trovandoci di fronte a qualcuno affetto da una malattia psichiatrica reagiamo come di fronte a una persona con qualsiasi altra patologia cronica…

Verso chi vive questo tipo di problema era forte (e spesso lo è tuttora) il pregiudizio, la diffidenza, fino alla paura vera e propria, magari irrazionale.

Da tanto tempo quella che in realtà è una condizione umana è stata stigmatizzata e frequentemente trattata come un problema sociale.

A partire dall’etimologia della parola “follia” che deriva da “follis” ovvero pallone o mantice pieno d’aria, quindi metaforicamente una “testa vuota”, “colui che ha perso la ragione”; così della parola “delirare” che significa uscire dal solco retto, uscire “de lira”. In genere alla pazzia è stata data quindi una connotazione negativa.

Il folle è chi mostra le sue difficoltà di adeguarsi alla società in cui vive; chi esprime la sua follia nei comportamenti irragionevoli, incoerenti e nell’inadeguatezza delle relazioni interpersonali; chi dà spazio ai cosiddetti “stati psichici alterati”, anormali.

Soltanto poche culture antiche, in particolare quella greca, consideravano le esternazioni del pazzo come espressione della volontà divina: le persone con patologie mentali dovevano essere rispettate in quanto la follia era qualcosa di sacro. Di Ippocrate esiste un trattato dal titolo “Sulla malattia sacra”.

Nel Medioevo il folle diventa invece il posseduto da spiriti malvagi o dal demonio, colui che deve essere liberato dal male, in qualche modo esorcizzato; la malattia mentale era considerata anche un segno della maledizione e del peccato della persona, per cui andava punito o purificato, ad esempio con la tortura. Nel caso fossero donne, molte volte venivano accusate di stregoneria e purtroppo portate sul rogo.

Durante il Rinascimento questa interpretazione si modifica e si inizia a considerare il folle una persona diversa, con delle peculiarità nei suoi valori e filosofia di vita, pur sempre da rispettare.

Con l’Illuminismo si sviluppa un’apertura alla scienza, all’osservazione e alla sperimentazione, e ai diritti umani, che consente di considerare, per la prima volta, la malattia mentale come una patologia organica e/o una sofferenza umana.

Poi nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, è evidente come la disabilità psichica, in qualsiasi forma, produce emarginazione, a causa dello stigma che accompagna queste persone dal “cervello strano”.

Storicamente la loro assistenza sanitaria nasce come esigenza sociale prima che come problema medico: le istituzioni dovevano garantire che il malato fosse in condizione di non nuocere, e quindi in molti casi i pazienti psichiatrici venivano mescolati con i delinquenti e i prigionieri politici.

E’ solo nel 1978 che, in Italia, viene approvata, pur con notevoli difficoltà, l’importante legge 180 o “Legge Basaglia” (dal nome di Franco Basaglia, psichiatra e neurologo fondatore della concezione moderna di salute mentale) che porta cambiamenti radicali: vengono aboliti i manicomi e i malati devono essere ricoverati nei reparti psichiatrici degli ospedali pubblici, volontariamente.

Si iniziano a tutelare i diritti anche di questi malati, anziché difendere la società dal paziente.

Ma ribadisco che generalmente, secondo me, le persone con disagio psichico, ci costringono ad un confronto con tanti aspetti della natura umana: l’istintivo, l’illogico, l’assurdo, il disinibito, il trasgressivo, l’aggressivo, il paradossale…che solitamente vengono censurati dalla parte razionale e logica in noi.

Questa parte logica, che caratterizza l’energia maschile in ciascuno di noi, ci chiede chiarezza, coerenza, necessità di capire, definire e regolare.

E da alcuni secoli è ovviamente predominante nel pensiero occidentale.

Facile immaginare quindi quale difficoltà può provocare l’incontro con chi rappresenta “diversità”, nelle molteplici espressioni del “fuori controllo”.

Nell’aspirazione (necessaria quando lavoriamo per un maggiore equilibrio interiore) di trovare una mediazione, un’eventuale armonia tra le tante nostre sfaccettature, trovo uno spunto stupendo leggendo Platone.

Nel Simposio, uno dei dialoghi più famosi di questo straordinario filosofo ateniese, ci parla di Amore come possibile mediatore tra queste due polarità in noi: ha il compito di tradurre e interpretare le espressioni della Follia inaccessibili alla Ragione, e le parole della Ragione indecifrabili per la Follia.

Platone dice che l’amore è connesso alla follia, addirittura che è un’espressione della follia, e che la Follia d’amore permette di andare ben oltre ciò che può raggiungere la ragione.

E molto interessante è anche il fatto che a sostenerlo è colui che potremmo considerare un fondatore della Ragione in Occidente, visto che tuttora pensiamo e parliamo come lui ha insegnato (ricordiamo ad es. il principio di non contraddizione, quello di causalità, i sillogismi, le deduzioni, ecc.)

Ci rammenta quindi che una fondamentale risorsa consiste nell’integrazione di aspetti interiori differenti, ed anche completamente opposti (fuori e dentro di noi), non sempre definibili e comprensibili.

Non solo possiamo accettarli ed accoglierli, ma renderli funzionali a sperimentare nuove meravigliose esperienze.

Se pensiamo a quando siamo in una fase d’innamoramento, verso un’altra persona o magari qualcosa che ci appassiona e coinvolge molto, come diventa spontaneo andare oltre le regole della Ragione verso il mondo sfuggente della Follia…Mi piace moltissimo l’immagine che attraverso questi pensieri Platone evoca: l’Amore realizza il meraviglioso abbraccio di Ragione e Follia!

 

 

Condividi...

Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Categorie

Commenti recenti

Da Avalon Giornale

Tag

Archivi