L'importanza di essere leggeri

Una sana dose di ironia e voglia di conoscere il mondo. Unite a inventiva e progettualità. Dai viaggi da piccolo con i genitori a un Torino-Sahara (e non solo) in bicicletta. Chiacchierata con Gabriele Saluci, all’insegna del “Viaggiare non è facile ma stare a casa è più difficile”.  Da un treno in corsa alla scrivania, un’intervista sulla cultura del viaggio come metodo di crescita personale.

Cominciamo con i dati anagrafici.
«Sono classe 1990: non troppo vecchio non troppo giovane. L’età giusta. E sono siciliano, il posto giusto. Per crescere, il posto giusto per andare via a un certo momento. Inizio a rendermi conto che il tempo passa velocemente, ed è anche per questo che cerco di tirare fuori tutto il possibile dalla vita. Mi sposto dalla Sicilia a Torino per studio (antropologia e sociologia nel corso di Comunicazione interculturale dell’Università di Torino). Allora non ne avevo la certezza ma mi rendevo conto che per fare qualcosa di buono, per cambiare e per migliorare, dovevo andar via dal mio paese, purtroppo e per fortuna».

Dove sei ora?
«Il mio punto di riferimento è Torino, anche se ultimamente non ci passo molto tempo: tra il lavoro e lo studio mi capita di passare lunghi periodi fuori. Sono appena tornato da un anno di studi nelle Isole Canarie e adesso per un po’ starò in Polonia».

Quando è cominciato tutto? Intendo: come hai “preso il vizio” del viaggio? C’è una scintilla, la prima esperienza che definisci viaggio? Quanto conta aver viaggiato con i tuoi genitori da piccolo?
«Quando viaggiavo da bambino con i miei genitori non mi rendevo conto di cosa stessimo facendo o di quanto potesse essere importante. Ho però assorbito come una spugna e metabolizzato tutto quello con cui sono venuto in contatto a quei tempi. L’animo del viaggiatore ha iniziato a forgiarsi proprio coi viaggi in camper insieme ai miei genitori. Il primo viaggetto è stato a 19 anni: ho percorso da solo i 700 chilometri del Cammino di Santiago. A quei tempi credevo fosse una vera avventura ma non sapevo che presto quelle strade percorse da migliaia di pellegrini ogni anno con punti di ritrovo ogni venti chilometri presto sarebbero state sostituite da due lunghi viaggi in bicicletta attraverso l’Europa: prima verso nord, in Islanda e poi a sud verso il deserto del Sahara».

Quanti viaggi hai fatto fino ad ora? In quante parti del mondo sei stato?
«Strano aver la fortuna di dire che mi viene difficile quantificare. Dai 2 ai 18 anni ho passato l’agosto di ogni anno in giro per l’Europa in camper. A luglio, sempre in quegli anni, a volte andavo in alcuni campeggi tipo scout e altre volte in qualche colonia estiva. Quando non andavo in campeggi, diverse volte mi è capitato di passare i mesi di luglio in Inghilterra, a lavorare come cameriere nel ristorante di un mio zio. Insomma, sempre in movimento, a imparare le lingue e quel che potevo di un mondo che non conoscevo ma che mi incuriosiva. Per ora ho visitato solo l’Europa, tutta; ho preso diverse centinaia di voli, in autostop, a piedi e in bicicletta. Credo di essere pronto anche per il resto».

Come scegli le destinazioni? Sono “solo” viaggi di piacere, avventura, scoperta o anche di lavoro?
«Quando ero piccolo andavo dove mi trascinavano i miei genitori, non avevo voce in capitolo. Nelle decisioni sui posti da visitare ero preso più in considerazione man mano che crescevo. Ho scelto le mete delle mie avventure per la curiosità che queste mi suscitavano, al tempo disponibile e al clima. Ho scelto di andare in Islanda come primo viaggio in bici perché è un posto veramente incredibile, dove ancora oggi si può avere un contatto vero con la natura. L’anno dopo sono andato verso il sud del Marocco per vivere un contatto con una cultura diversa dalla nostra e per affrontare una sfida opposta a quella dell’anno prima».

I racconti di viaggio e ciò che produci, come video, articoli, significano anche trasformare una passione in lavoro? Riesci a ricavarne un guadagno per finanziare i tuoi progetti?
«Nel tempo il blog si è trasformato nel punto di incontro di molti viaggiatori e sono contento di avere un pubblico partecipe e interessato a cui raccontare le mie avventure, i miei pensieri e con il quale condividere i progetti. Alcune società molto conosciute nel mondo dei viaggi hanno deciso di accompagnarmi in questa avventura sponsorizzando il blog e mi aiutano in parte a realizzare dei piccoli progetti. Proprio adesso è in fase di studio un progetto molto interessante ma sul quale purtroppo ancora non posso fornire troppi dettagli, sicuramente sarà un’avventura indimenticabile».

Come scegli una destinazione? Fai anche viaggi “sponsorizzati” o “su commissione” considerandoli quindi lavoro? O hai un’idea e cerchi finanziatori?
«Turin-Iceland e Turin-Sahara sono stati autofinanziati. Nel secondo ho avuto il patrocinio della Provincia e della città di Torino e il sostegno dell’ambasciata e del consolato italiano in Marocco, questo per cercare di trasformare l’avventura anche in un progetto culturale e per creare un ponte tra le nostre culture. Ancora viaggi sponsorizzati non ne ho fatti ma non escludo l’ipotesi di seguire questa strada. Non credo che una sponsorizzazione tolga qualcosa al significato di un’avventura, anzi può permettere di sviluppare migliori contenuti. Ci sono molti blogger che vengono pagati per visitare alcuni posti e per parlare bene di alcune esperienze; per fortuna io non sono solo un blogger, il blog per me è un mezzo che uso per condividere i racconti delle mie avventure, cosi come Youtube o le trasmissioni su Sky, solo mezzi, per condividere quello che penso e che faccio e che penso di fare».

Quanto è stato importante fare lavori mirati a finanziare le tue idee?
«Per fortuna non faccio più il cameriere. Non perché disprezzassi quel lavoro, anzi. Servire è l’arte suprema, si impara a relazionarsi con le persone e a capire cosa loro piace. Dicevo per fortuna perché adesso posso dedicarmi a tempo pieno a quello che mi piace e che mi interessa: studiare all’università, progetti culturali, d’informazione, documentari e tutto quello che di creativo posso immaginare».

Per chi hai realizzato video? Hai un’etica nella scelta dei clienti?
«Lavoro con enti e privati: ho diretto alcune campagne informative per la Provincia di Torino e turistiche con la Provincia di Chieti, l’ultima il Cammino di San Tommaso. Collaboro con riviste e quotidiani. Si crede che lavorare in questi campi rappresenti un vincolo alla propria personalità o alla propria creatività. Non è così per me: fin ad ora incredibilmente ognuno mi ha lasciato carta bianca per realizzare come meglio credevo il lavoro che portavano avanti».

I tuoi sono viaggi “liberi” intendo che ti accampi in tenda ma mai proprio mai vai in un ostello, hotel? Usi formule tipo couchsurfing, warm-showers?
«Quando mi trovo in un posto che mi piace particolarmente e le condizioni lo permettono mi piace poter creare un mio spazio. Non mi piace l’idea di dover pagare una cifra spropositata per una piazzola in un campeggio; è un peccato che i posti più belli del mondo siano tutti di proprietà privata, mi sento truffato e privato di qualcosa di anche mio. Poter “rubare” quello che in realtà è mio, campeggiando liberamente, è un bel piacere. Ovviamente anche l’ostello mi piace: si conoscono nuove persone, si scambiano idee, si fanno amicizie. Negli alberghi vado quando sono in giro per lavoro e ho bisogno di spazi tranquilli. Non mi piacciono invece couchsurfing o warmshower. Certo, bella idea, ma dovere aspettare sempre una risposta positiva che non arriva mai è un po’ stressante. Ospito invece con piacere quando capita».

Dai un consiglio per “accampare sicuri”?
«Le probabilità che succeda qualcosa di brutto sono abbastanza basse quando ci si accampa da qualche parte, ma non si possono escludere spiacevoli eventi. La scelta dei posti va affidata al proprio senso critico e non ci sono particolari consigli, in ogni scelta ci sono lati positivi o negativi e ci vuole esperienza».

C’è differenza fra un viaggio a piedi e uno in bici? Hai una preparazione fisica per farli? E – per la bici – competenze tecniche “in caso di”?
«Le differenze sono tante, non saprei dire quale preferisco o quale sia il modo più faticoso. In ogni caso non mi sono mai preparato fisicamente né per i 700 chilometri a piedi in Spagna né per i miei viaggi in bici in Europa. Saper riparare una foratura è più che sufficiente per viaggiare in bici, le altre competenze si possono acquisire con calma lungo la strada».

Della serie: “Less in more”. Come scegli le “cose” da portare nei viaggi? E l’attrezzatura?
«E’ la domanda che ricevo più spesso. Non c’è un criterio per preparare il bagaglio per un viaggio, l’importante è essere leggeri; con l’esperienza ho capito che né le cose utili servono, né quelle necessarie ma solo le cose indispensabili. Qualche vestito caldo, un libro, un po’ di musica e puoi andare dove vuoi. Nei miei viaggi erano più le cose che non usavo e che riempivano inutilmente il bagaglio che quelle effettivamente utili. Adesso che mi sposto in zone diverse anche per vivere, ho capito che avevo troppa roba inutile. E’ vero: “less is more”. Purtroppo però lavoro coi video e tutta l’attrezzatura per la produzione è un bell’ingombro».

Che budget giornaliero consideri per i viaggi che fai?
«Nei viaggi in bici una media di 4/5€ al giorno o anche meno. Dipende dalle esigenze, anche qui “less is more”. Tutte le meraviglie che ho visto viaggiando erano gratis, geyser e deserti inclusi. Comunque è sempre tutto lì, chiunque ci può andare».

Ti sei mai trovato in condizioni di pericolo o difficoltà? Se sì come e dove? E come ne sei uscito?
«La difficoltà credo possa presentarsi in qualsiasi momento. Mentre pedali potresti capire di essere in mezzo al niente e che tutto dipende da te, potrebbe venire il panico a volte; meglio evitare di pensare a certe cose. Il pericolo per il resto te lo crei da solo, bisogna sapere cosa è giusto fare e cosa no».

C’è qualche viaggiatore, esploratore al quale ti ispiri? Qualche scrittore di viaggio che ti affascina?
«La maggior parte di quello che leggo è letteratura di viaggio, mi fanno sognare i classici come Giorgio Bettinelli e Jack Kerouac. Ci sono alcuni bravi ragazzi dei nostri tempi che fanno un sacco di belle cose, come Alastair Humphreys, Rob Lilwall che hanno fatto il giro del mondo in bici e dei documentari con Nat Geo o Rob Thomson che ha fatto il giro del mondo in longboard (uno skateboard più lungo del solito, Ndr). Ci teniamo in contatto e ogni tanto ci scambiamo sui nostri progetti, gente a posto».

Leggendoti e guardando i video ho notato un senso di “empatia naturale” che hai. Quanto conta questo nei viaggi? Qual è la cosa più importante per relazionarsi con le persone che incontri?
«In viaggio ovviamente moltissimo; non si può pretendere di andare in giro per il mondo se non si è disposti a condividere con altre persone parte del viaggio, se non si è disposti ad ascoltare la gente e stare insieme a sconosciuti. In viaggio la tua strada inevitabilmente si intreccia con quella di qualcun altro e lasciarsi andare a ogni genere di contatto è indispensabile per tessere la trama del destino… quanto sono poetico. Comunque si tratta di saper prendere al volo coincidenze e opportunità, più gente conosci più hai possibilità di fare qualcosa di interessante che non avevi mai considerato».

Con le persone che hai incontrato mantieni rapporti? In una sorta di “comunità” di viaggiatori?
«Purtroppo con molte delle persone che si incontrano si perdono i contatti nel tempo. Con altri invece con c’è stata particolare simpatia e siamo ancora in contatto. Bello poter contare su tante persone in tanti posti diversi».

Viaggi sempre solo o fai anche viaggi “in compagnia”?
«Per ora sempre da solo, non è mai capitato. Tutti i miei amici sono troppo impegnati a fare qualcosa di noioso nella loro vita. Vi voglio comunque bene!»

A cosa pensi di notte in tenda nel nulla? Va bene anche semplicemente “che caldo” “che freddo”.
«Di notte a volte alcune paure irrazionali ti rapiscono e non ti fanno chiudere occhio, penso: sono scemo o mi sta succedendo qualcosa in testa?»

Come vedi il futuro? Sempre in giro per il mondo e come? O metterai radici “prima o poi”?
«Credo che viaggiare sia bello nel momento in cui hai un posto che ti piace dove puoi tornare per ricaricare le batterie, dove ci sono persone con cui stai bene e alle quali puoi raccontare le tue storie. Non credo sia utile o piacevole non avere un punto di riferimento per troppo tempo. E’ bello essere cittadini del mondo ma bisogna pur venire da qualche parte per andar via. Spero il mio posto possa diventare Las Palmas, dove abitavo l’anno scorso».

Ti definisci viaggiatore, esploratore, globetrotter? O non ti riconosci proprio in una categoria?
«Non lo so, sono gli altri che fanno le definizioni. Sono uno che viaggia, si diverte, lavora tanto, fa video, si diverte ancora, si stressa, ha paura, lavora di notte, parla con le persone, scrive, cancella e riscrive. Forse vivo e basta ed è quello che si dovrebbe sempre fare».

Che significa per te “essere libero?”
«Avevo trovato la risposta ma ero così impegnato a cercare la libertà che non me ne sono accorto. Vuol dire che continuo».

(Nella foto: un’immagine di Gabriele Saluci durante il suo viaggio in bici Torino-Islanda)

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Autore: Alessandro Ricci

Pescara, 1974. Giornalista free lance, inizia con Il Messaggero Abruzzo nel 1994. Collabora nel tempo con testate regionali e nazionali, cura l'ufficio stampa per enti pubblici e privati in particolare nel settore viaggi e turismo. Nel 2007 avvia il progetto Borracce di poesia - La bici per il verso giusto. Il tutto nel segno della curiosità e della conoscenza.

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