“Ma che gentile!!”

Qualche giorno fa ero in coda nella piccola panetteria del mio quartiere.

Durante quella che trovo una delle poche attese piacevoli in un luogo pubblico, con tanti colori e forme che invitano all’assaggio e l’inebriante fragranza che rende il tutto irresistibile, ho assistito ( e mi ha colpito particolarmente) a questa scena: una giovane donna apre la porta d’ingresso di questa modesta bottega per entrare.

Nello stesso momento un uomo sui quaranta sta uscendo con la sua baguette integrale appena acquistata in una mano, mentre con l’altra tiene la porta, e trovandosi di fronte la signora, si sposta completamente di lato, facendosi posto nel piccolo spazio affollato.

Quasi scomparendo dietro la porta di vetro opaco, il giovane barbuto fa sporgere il capo e con un bel sorriso aperto pronuncia un discreto, (quanto trascurabile vista l’espressione davvero accogliente), “Prego…”

Lei rimanda un semplice, sorpreso “ Oh…Grazie!” ed entra, ricavandosi un posticino tra i clienti in attesa, e mentre il cortese ragazzo arriva alla soglia e si incammina sul marciapiede verso il resto della giornata, lei esclama un sorridente “Ma che gentile!”, senza rivolgersi a qualcuno in particolare, ma dando voce ad uno spontaneo stupore.

Ha sorpreso anche me, per la verità, questo inaspettato gesto cordiale.

Rifletto sugli effetti di quel farsi da parte con un sorriso pieno: una piacevole sorpresa accompagnata da un altro gran sorriso, che sono certa avrà reso migliore la giornata di quella giovane donna, fosse solo per cinque minuti.

Di certo ha fatto “bene” anche agli altri (a partire da me): una spolverata di gradevole energia (anche per chi non ha notato la scena), una apertura diversa verso l’esterno (altri presenti hanno accennato un sorriso dopo l’esclamazione della ragazza)

Sì, credo che un semplice gesto affabile, che può sembrare anche banale, possa generare molti effetti positivi, eppure colpisce per la sua inusualità…

Immagino mi sarebbe passato inosservato se quell’uomo si fosse affrettato ad uscire (e a pensarci sarebbe stato logisticamente più fluido), trascurando quei piccoli atti di attenzione per l’altro, riguardo, affabilità, nei comportamenti del vivere quotidiano.

Forse “normalmente” tralasciati perché il loro significato viene spesso alterato ai nostri giorni, purtroppo!

Il contesto in cui viviamo ci fornisce senz’altro occasioni per sviluppare diffidenza, timore, sfiducia,  che ci portano a prendere distanza, a non essere aperti verso l’altro.

Poi nel tentativo di mostrarci coraggiosi, determinati, forti, efficienti, quindi senza nulla da temere e sicuri delle nostre capacità o dei nostri diritti, consideriamo la gentilezza e la disponibilità un punto debole o una dimostrazione di fragilità.

E tendiamo a censurare la nostra parte più emotiva.

Credo però che quel lato sensibile, che sa risuonare con il sentire dell’altro e sa anche cogliere i dettagli nei modi di relazionarsi, appartiene alla parte femminile in noi e potrebbe farci comprendere meglio la reale condizione dell’altro.

Portando empatia nei rapporti, ovvero il tentativo di metterci nei panni di chi abbiamo di fronte, si potrebbe creare maggiore sintonia e fluidità negli scambi.

Ma sempre meno, nella routine del vivere, ci consentiamo quell’atteggiamento disponibile, altruista, benevolo, a partire soltanto dal sorriso o dalla piccola azione cortese verso una persona sconosciuta. Rinunciando a quell’immediato, prezioso benessere che ne può scaturire per entrambe.

Da sempre, nella nostra condizione di esseri umani, abbiamo bisogno di essere accolti, ascoltati, sostenuti dall’altro sia nelle nostre vulnerabilità che nel nostro mero esistere.

 

Donald Winnicott, famoso pediatra e psicoanalista britannico, negli anni ’70 scriveva che “un indicatore della salute mentale è la capacità di entrare nei pensieri, nei sentimenti, nelle speranze e nelle paure di un’altra persona. E di concedere a un’altra persona di fare lo stesso con noi.”

Ma credo risulti complesso, attualmente, conciliare ciò con l’importanza che attribuiamo all’indipendenza e all’autonomia, intesa come necessità di occuparci e pre-occuparci prima di tutto di noi stessi.

Per cui tendiamo a chiuderci, ed indurirci, a volte mostrando una corazza.

Ed ogni espressione di accoglienza e apertura che arrivi dall’altro diventa sorprendente, un po’ spiazzante, ma allo stesso tempo è piacevole, direi un dono.

Trovo ancor più rara l’espressione della grazia: quel rispetto totale, raffinato per chi ho di fronte; quell’atteggiamento garbato che ben conosce la delicatezza con cui trattare la preziosa interiorità altrui.

La stessa che dovrei usare per lasciar emergere il mio mondo interiore e creare quella parità di piani che ridimensiona reciprocamente le insicurezze, i pregiudizi, i ruoli sociali e consente maggiore autenticità in ogni tipo di relazione.

Così da iniziare a guardare l’altro come un altro Me.

 

 

Tutti i moti naturali dell’anima sono retti da leggi analoghe a quelle della pesantezza materiale. Solo la grazia fa eccezione. La grazia colma, ma può entrare soltanto là dove c’è un vuoto a riceverla.
(Simone Weil)

 

 

 

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Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

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