Prendersi cura di sé attraverso il nutrimento. Un percorso di autonomia

Il cibo ha un valore indiscutibile nella nostra vita, certamente per la sussistenza, ma anche per il suo valore affettivo, psichico e relazionale. Il cibo genera sensazioni ed emozioni e d’altro canto subisce le nostre condizioni interiori. Spesso infatti anche nel linguaggio comune siamo soliti creare collegamenti tra stati emotivi e nutrimento. Quante volte se proviamo dolore, ci si chiude lo stomaco, se siamo ansiosi, mangiamo tanto, se siamo soddisfatti, festeggiamo a tavola… il cibo acquisisce quindi una valenza simbolica profonda. Se non siamo in equilibrio, abbiamo con esso un cattivo rapporto, rifiutandolo, assumendo cattivi abitudini o generando eccessi. Se lo amiamo, ci piace condividerlo e renderlo parte delle nostre relazioni. Attraverso il cibo conosciamo e facciamo nostre le radici culturali da cui proveniamo e, nell’assaggio di alimenti diversi, facciamo esperienza del mondo.

Quindi il cibo è una lingua. Aggrega o separa. Crea intimità. Mangiare in compagnia è infatti un atto importantissimo, un rito che accomuna. Non a caso tanti momenti fondamentali della nostra vita sociale sono scanditi da un pasto comunitario. Le feste, i passaggi ad un nuovo status, le mediazioni d’affari…

Ma è anche uno specchio, che ci rivela la condizione esistenziale che stiamo vivendo. Attraverso il nostro modo di nutrirci raccontiamo di noi a noi stessi e al prossimo, riveliamo chi siamo e come stiamo. Per comprenderlo, ci basterà  richiamare alla mente l’esempio di una persona anoressica che, attraverso l’astinenza e il rifiuto di cibo, esprime a se stessa e all’altro il suo malessere senza bisogno di parlarne, poiché lo incarna.

Creerei quindi un’identità:

 

cibo:vita = madre:relazione

il cibo sta alla vita, come la madre alla relazione, proprio perché, quando nasciamo, il nostro bisogno di madre è assoluto. È lei che dovrebbe fornirci il nutrimento necessario alla sussistenza, ma anche quell’affetto che è sostentamento per la psiche e che ci assicura un sereno sviluppo emozionale. La prima forte relazione della nostra esistenza è con lei. Nelle sue braccia impariamo a mangiare, in un’esperienza di fusionalità che ci rievoca le sensazioni della vita in pancia. In quei momenti, il sapore e il gusto del latte si integrano al calore del suo corpo, al suo profumo, al suo respiro. Il piacere è profondo e l’attaccamento è totale, eppure nell’atto di suzione del latte, compiamo il primissimo tentativo di autonomia. Percorso che procede nel tempo in una sempre maggiore affermazione della nostra personalità. E il cibo ancora ne indica gli accenti e ne scandisce i tempi. Già verso i due anni, infatti, siamo in grado di distinguere mamma da pappa, incominciando a scegliere cosa, quanto e quando mangiare. Chiaramente è ancora mamma a organizzare e regolare il nostro rapporto con l’alimentazione.

Il cibo è anche nemesi. Un contrappasso che da bambini impariamo a utilizzare per auto-regolare ciò che manca su un piano affettivo. Se nella prima fase della vita, infatti, mangiare significa instaurare una relazione profonda con la madre che si prende cura di noi e che ci dà piacere, quando percepiamo lei assente, spesso cerchiamo di compensare alimentandoci. In altri termini ricerchiamo nel cibo accudimento e piacere originari.

 

Facciamo un esempio. Pensiamo ai momenti di vuoto affettivo, quando siamo insoddisfatti della relazione che viviamo, ci viene istintivo cercare qualcosa di dolce, che riempia il nostro palato… o richiamiamo alla mente anche le immagini di tanti film americani, in cui vediamo la protagonista sconsolata che si lascia andare davanti al televisore e ad una vaschetta gigante di gelato da ingurgitare… in quei momenti di eccesso semplicemente ricerchiamo istintivamente proprio il senso di quell’identità, rivogliamo quella madre che, offrendoci cibo, ci nutre anche a livello emozionale, ci accudisce e ci regala piacere…

Il cibo diventa allora consolazione.

Se nutrirsi è sinonimo di vivere come di relazione, sarà necessario imparare ad avere una relazione equilibrata prima di tutto col cibo. Pertanto imparare a prendersi cura di sé attraverso il nutrimento diventa un percorso di autonomia affettiva. Intanto possiamo partire dal presupposto che, se da bimbi mangiare dalla mamma prevede un atteggiamento ricevente, quindi passivo, nutrirsi in modo consapevole costituisce l’opportunità di diventare attivi. Di comprendere cioè che possiamo scegliere cosa e CON chi mangiare e rendere questa condivisione uno scambio, con noi stessi, se siamo soli e vogliamo regalarci qualità, con il commensale cui possiamo offrire il meglio di noi sia su un piano materiale che psichico. Buona conversazione o un delicato silenzio, gentilezza, accoglienza, disponibilità, riguardo, ma anche  coopartecipazione nelle azioni della cucina e della tavola sono tutte forme appaganti di nutrimento, indispensabili per la vita come gli alimenti che mastichiamo

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Autore: Zuleika Fusco

Counselor Relazionale Supervisor ad indirizzo clinico (iscrizione n°43, Ancore, Ass. Naz. Counselor Relazionali), Scrittrice. Cultrice di discipline olistiche ed esoteriche, ha creato tecniche di Integrazione dell'inconscio attraverso l'interpretazione dei sogni e un laboratorio - Oniromanteion - in cui il gruppo le sperimenta. Ideatrice del modello di Counseling ad indirizzo mediacomunicativo, che trova la sua specifica nell'integrazione del maschile e del femminile, dirige la scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione®. Ha fondato Avalon Formazione, società di servizi che favoriscono il benessere psichico della persona in contesti privati e organizzativi.

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