Se la pista ciclabile non basta più

Quali sono le misure che fanno crescere – realmente – l’utilizzo della bici in città? E che, più in generale, fanno di una città una realtà vivibile, con riduzione dello smog, rumore, del consumo di carburante? Dove le modalità di spostamento sono affidate al trasporto pubblico locale, alle facilitazioni per bici e pedoni, al posto del mezzo privato?

Se lo sono chiesto quelli di Legambiente, Rete mobilità nuova e bikeitalia.it: la risposta è nel dossier l’A-bici della ciclabilità, presentato proprio in questi giorni a Fa’ la cosa giusta-Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili a Milano.

Lo studio passa al setaccio oltre cento città italiane secondo i principi di modal share, ciclabili equivalenti e l’indice di ciclabilità. Il questionario è stato inviato a tutti i comuni capoluogo di provincia per informazioni legate alla mobilità e alla ciclabilità.

“In primo luogo è stato chiesto ai municipi di indicare il modal share del proprio territorio – si legge nel comunicato stampa di riferimento – ossia il tipo di veicolo (auto, moto/scooter, trasporto pubblico, bici, piedi) utilizzato dagli abitanti per gli spostamenti sistematici all’interno del centro urbano. Sono state poi raccolte informazioni sulle ciclabili e sulla loro tipologia. Con queste informazioni, opportunamente pesate, è stato costruito l’indice delle ciclabili equivalenti, che misura la lunghezza (in metri/100 abitanti) di tutti i percorsi potenzialmente accoglienti per la bici”.

L’indice di ciclabiltà, infine, misura “la capacità delle amministrazioni comunali di predisporre una serie di strumenti che favoriscono la mobilità ciclabile: creazione di ufficio biciclette, approvazione di un piano per la mobilità ciclabile, presenza di bike sharing, di cicloparcheggi di interscambio, di bicistazioni e di sensi unici eccetto bici” si legge nello stesso comunicato. Insomma, un qualcosa oltre il taglio del nastro per l’inaugurazione di pochi metri di ciclabile con foto di rito.

Lo studio sfata innanzitutto alcuni luoghi comuni, primo fra tutti quello che “per avere più ciclisti urbani servono più ciclabili”. Gli autori della ricerca portano alcuni esempi che vale riportare: “Brescia è una delle città italiane con più chilometri di ciclabili e con più servizi, ha cicloparcheggi di scambio, bici a noleggio, una diffusa segnaletica per le due ruote. Eppure solo il 3% degli abitanti si muove quotidianamente a pedali. Ferrara, un’altra città padana altrettanto piatta e altrettanto ricca, ha infrastrutture e servizi analoghi, ma la quota di cittadini che si sposta in bici è nove volte più alta (il 27%) rispetto a quella del capoluogo lombardo. Pisa non ha nemmeno un terzo delle corsie protette per due ruote che ha Reggio Emilia eppure le percentuali di spostamenti a pedali in tutti e due i comuni sono a un buon livello (sopra il 15%). Ma mentre nel comune toscano i cittadini che si spostano con mezzi privati a motore sono poco più del 40%, ben due reggiani su tre scelgono l’auto o lo scooter per spostarsi. Roma e Venezia-Mestre hanno
approvato il biciplan (il piano della mobilità ciclistica) e hanno da anni un ufficio biciclette operativo all’interno del municipio: nella Capitale la bici è un mezzo di trasporto per appena una persona su 100, in laguna per un quinto dei residenti”.

Le infrastrutture dedicate non bastano, insomma. Anzi, a volte sono anche inutili se non inserite in un contesto urbano armonico. Occorre portare altri esempi: a Bilbao gli spazi urbani sono stati rigenerati, a favore di pedoni e ciclisti urbani, con tariffe di parcheggio elevate, strade più strette, limiti di velocità reali; a Budapest, tra il 2004 e il 2011, l’uso dell’auto privata è passato dal 43% al 20% e in altri centri urbani ungheresi, nel giro di sette anni, hanno visto crescere il numero degli spostamenti urbani in bicicletta dallo zero al 20%. Come? Si legge nel dossier: “E’ il risultato di un lavoro di squadra governo-comuni: il primo ha sì investito in ciclabili e cicloposteggi, ma nel mentre i secondi hanno lavorato per rendere difficile l’accesso in macchina alle aree centrali, riducendo i parcheggi su strada e aumentando il prezzo della sosta”.

Un esempio così di città in Italia è Bolzano: “unica città italiana dove meno di un terzo degli abitanti usa l’auto e c’è riuscita non stendendo chilometri e chilometri di asfalto ciclabile, ma riducendo i parcheggi di superficie, aumentando la sicurezza di chi si muove con le proprie gambe, ampliando le aree pedonali e facendo ricorso alle corsie protette per le bici in quei tratti di strada dove proprio era impossibile garantire una armonica convivenza tra i vari veicoli”.

Nello studio viene anche illustrata la proposta di legge approdata alla Camera per la moderazione della velocità e per l’introduzione di target dedicati alla mobilità urbana.

Per chi volesse divertirsi a cercare la posizione della propria città in classifica, qui c’è il comunicato stampa di riferimento. Ma a parte qualche eccezione, in molti rimarranno delusi.

 

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Autore: Alessandro Ricci

Pescara, 1974. Giornalista free lance, inizia con Il Messaggero Abruzzo nel 1994. Collabora nel tempo con testate regionali e nazionali, cura l'ufficio stampa per enti pubblici e privati in particolare nel settore viaggi e turismo. Nel 2007 avvia il progetto Borracce di poesia - La bici per il verso giusto. Il tutto nel segno della curiosità e della conoscenza.

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