Se mi ascolti mi vedi

Ascoltare chi ho accanto è difficile. Anche quando qualcuno mi è proprio di fronte e parla con me.

E ha poco a che fare con la tendenza ad essere loquaci o taciturni, logorroici o laconici

Molto spesso capita di sentire le espressioni dell’altro, fatte di parole pronunciate e stati d’animo che emergono in tanti modi, ma ciò che ci cattura l’attenzione sono soprattutto le emozioni e i pensieri che si attivano in noi.

Talvolta si affollano idee o tentativi di controllare l’emotività, per sollecitare la risposta migliore e la reazione più adeguata, ma dalla nostra prospettiva e, più che altro, per sentirci adeguati e apprezzati.

E se l’attenzione è catturata dal “mio mondo”, quanto riesco a lasciare spazio per l’altro?

Quanto posso cogliere le sfumature e i dettagli delle sue parole, che magari definiscono meglio quanto vuole esprimere?

Quanto posso accogliere le emozioni che attraversano i suoi racconti, e le sue sensazioni del momento?

Certo si può imparare ad Ascoltare.

Ma rimane una capacità e un’attitudine tanto rara quanto apprezzata dalla maggior parte di noi: proviamo a ricordare come ci siamo sentiti quando l’altro ci stava davvero ascoltando.

O si ricordava di noi per qualche ragione, anche banale.

E quante volte questo ha poi prodotto una bella e appagante sintonia.

Fare pratica di ascolto attivo significa riuscire a mettere al centro della nostra attenzione chi si sta rivolgendo a noi, dargli la dovuta importanza e tutto il nostro rispetto (e questo richiede di provare a non essere giudicanti), interessarci autenticamente alla sua personale esperienza riguardo un evento o un certo momento di vita.

Serve andare oltre le parole, lasciando che il mio corpo si esprima attraverso le tante possibilità (ormai abbastanza conosciute) della comunicazione non verbale, necessarie per interagire con empatia.

Essendo un elemento fondamentale nella mia professione di counselor, sperimento costantemente che il vero ascolto dell’altro diventa funzionale ad un’apertura autentica e attiva gradualmente una fiducia reciproca 

Credo sia strettamente legato al sentirsi accolti, rispettati nella propria unicità, quindi accettati e legittimati nell’essere se stessi.

Questo di solito ci fa sentire visti per quello che siamo. E se mi vedi cogli i miei tratti, le mie peculiarità, le tracce del mio vissuto, le mie fragilità, i miei punti di forza, i miei bisogni.

E riesci ad ascoltare anche ciò che non viene detto…

Quindi solo di conseguenza alla vera attenzione per l’altro troviamo risposte o considerazioni migliori, più adeguate per entrambi.

A sottolineare l’importanza della realtà di ciascuno di noi, che esiste però compiutamente soltanto se qualcun altro la vede e la rispetta nelle sue caratteristiche

 

Il complimento più grande che mi è mai stato fatto fu quando uno mi chiese cosa ne pensassi, ed attese la mia risposta”

H.D. Thoreau

 

 

 

 

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Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

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