Tornare a vivere

Mi trovo a constatare, in questi ultimi mesi, una realtà che appare molto diffusa. Il polso della situazione me lo danno il lavoro con alcune clienti e le conversazioni occasionali con tante persone.

Avverto una fatica, una spossatezza e la tendenza a vivere più virtualmente che in presenza.

Eppure, pensandoci, non dovrebbe essere il contrario? Dopo due anni e mezzo di reclusione forzata, ora che la situazione sanitaria si va normalizzando e molte limitazioni finalmente stanno cessando, non dovremmo avere voglia di uscire, di rivedere persone, di contatto umano?

Credo di sì. Eppure.

Eppure per molti di noi “uscire” dalla tana sembra essere davvero faticoso.

Per descrivere la situazione provo ad utilizzare una metafora.

É come se abitassimo in una casa  vicina alla spiaggia. All’improvviso si scatena una tempesta e ci viene detto di restare in casa. Veniamo aggiornati tutti i giorni a tutte le ore sull’andamento dei venti, il numero di morti, le precauzioni da prendere in caso dovessimo proprio uscire. Noi dalle finestre osserviamo il mare infuriato, telefoniamo ai cari per sapere come stanno, viviamo in attesa: che succeda qualcosa di brutto a noi o chi amiamo, che la tempesta finisca. Pensiamo a quanto ammonterà la conta dei danni, a quanto ne usciremo impoveriti, e al fatto che chissà se mai finirà davvero. Due anni così.

Poi finalmente i vento sembra placarsi, la spiaggia torna praticabile.

Tiriamo un sospiro di sollievo. E continuiamo a guardarla da dietro le finestre.

Perchè? Le risposte potrebbero sicuramente essere tante, ma molto genericamente potremmo osservare che l’essere umano è iper-adattabile. Siamo creature capaci di sopravvivere in situazioni diversissime: con cibi diversi, temperature diverse, stili di vita diversi. Questa è la nostra grande forza, e questo però ad un certo punto diventa un limite, perché facciamo l’abitudine anche a ciò che invece dovremmo lasciare andare.

Vale con la situazione sanitaria così come nelle relazioni! Ma questo sarebbe un altro post.

Il virtuale si inserisce in questo contesto perfettamente: siamo sempre connessi, ovunque andiamo. Passiamo un sacco di tempo sfogliando pagine su pagine di account social più disparati, a seconda di quelli che sono i nostri interessi.
Qual è il problema?

A mio avviso, sono vari:

  • il tempo trascorso sui social ad un certo punto perde di qualità. Invece di usarli come mezzo per reperire informazioni o anche divertirsi, diventa causa di distrazione, di addormentamento, ci distoglie da noi e dalle nostre emozioni.
  • mentre scrolliamo pagine su pagine, perdiamo infatti la presenza. Siamo lì, ma siamo da un’altra parte.
  • osservare le vite altrui, a volte ci dà la grande illusione di viverle di riflesso, ma è appunto un’illusione. Se mantenessimo la presenza, sapremmo in ogni istante che noi siamo noi, siamo seduti sul nostro divano, abbiamo in mano un cellulare, e stiamo guardando la vita di qualcuno, molto diversa dalla nostra vita.
  • dato che sui social, generalmente, si fa marketing, significa che quello che vediamo è lì per indurci a pensare che chi seguiamo sia realizzato, di successo, felice, in pieno controllo della propria vita, ricco.
  • il che porta ad acquisti compulsivi, desiderio di evasione ancora più grande e dunque ancora più scrolling, ma soprattutto – da quanto vedo – invidia condita con un fortissimo senso di inadeguatezza. E con un senso di inadeguatezza così, chi ha più le forze per confrontarsi con reali esseri umani in carne ed ossa vis a vis?

Se la situazione che ho descritto ti riguarda, ecco qualche proposta per te. Se ci sei passata o passato e hai voglia di condividere come stai, puoi usare i commenti qui sotto.

Prova a chiederti: cosa facevo prima della pandemia, che ora non faccio più? Cosa non facevo che invece ora faccio? Come mi pongo davanti a queste cose, cioè la mia vita è migliorata o peggiorata grazie ad esse?

Se adesso passi più tempo di prima con lo smartphone, ad esempio, prima quel tempo come lo impiegavi? Erano situazioni nutrienti per te?

Se sì, come potresti reinserirle nel tuo quotidiano?

Se no, come ti piacerebbe sostituirle?

Fai un esercizio di presenza: se ti accorgi che sei troppo nel virtuale, interrompiti e concentrati sul corpo. Cosa stai vedendo? Cosa stai ascoltando, che rumori ci sono? Cosa stai toccando con il corpo in generale (per esempio lo schienale della sedia)? Stai assaporando qualcosa? Ci sono odori nell’aria?

Che sensazioni provi? Potresti accorgerti che hai bisogno di sgranchirti le gambe, ruotare le spalle. Potresti sentire che non stai respirando a dovere ma trattieni l’aria e sei col fiato corto.

Ricordati del corpo più volte al giorno.

Il corpo è la nostra ancora, ci dona quella presenza che perdiamo con un uso eccessivo della mente.

Quindi ancoriamoci a lui, rinnoviamo il patto d’alleanza. Step successivo: diamo al corpo quello che desidera. Forse, quando ti fermerai ad ascoltarlo, ti accorgerai di avere sete. Forse vorrai fare un balletto. Forse sentirai il richiamo del sole e la voglia di fare una passeggiata.

Il corpo ci ama più di quanto lo amiamo noi! Proviamo a ricambiarlo.

Allora magari troveremo il coraggio e la forza di tornare su quella spiaggia, per scoprire i tesori che la tempesta ha lasciato sulla riva. E forse, tra poco, torneremo ad immergerci.

Condividi...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Categorie

Commenti recenti

Da Avalon Giornale

Tag

Archivi