Gli adolescenti e il diritto all’infelicità

Le circostanze straordinarie degli ultimi anni hanno fatto emergere in misura esponenziale i forti disagi del vivere quotidiano che i nostri ragazzi percepiscono (sono tanti ormai i dati statistici che li descrivono).

In senso generale gli adolescenti e i giovani hanno difficoltà a relazionarsi (sia con i coetanei che con noi adulti) per cui tendono a preferire scambi virtuali, o ad isolarsi completamente dagli altri;

in misura crescente sperimentano anche un’ansia generalizzata, che va oltre l’ansia da prestazione, che parla di forte incertezza riguardo la loro collocazione nel mondo che li attende, e di crescente insicurezza sulle proprie capacità ed eventuali responsabilità.

Certamente l’adolescenza da sempre rappresenta una fase di vita caratterizzata da complesse trasformazioni biologiche ed interiori, quindi una tra le fasi più delicate, ma in questo momento arriva spesso ad esprimersi con elementi patologici.

Rispettando l’ovvia complessità, generata dai tanti fattori sociali e culturali che toccano i nostri giovani, vorrei portare l’attenzione su un aspetto che mi colpisce molto nei recenti colloqui con ragazzi o genitori di adolescenti (e da esperienze riportate)

Intanto la fatica ad esprimere semplicemente certi vissuti interiori: salta agli occhi come spesso sia davvero difficile per i ragazzi dare voce alle loro emozioni, in particolare se riguardano la tristezza, la delusione, la rabbia, la paura di non rispondere alle aspettative, il forte senso di inadeguatezza…

E noto che se da una parte sono mediamente più ascoltati rispetto alle generazioni precedenti, dall’altra c’è una carenza di accoglienza e comprensione: come se gli adulti (in particolare i genitori) non considerino possibile, o siano molto spaventati, dall’infelicità.

Per cui in vari modi viene negato ai giovanissimi il diritto alla sofferenza, probabile espressione di una delle tante esperienze emozionali nella vita di ciascuno di noi.

Si cerca di dare beni materiali, risposte verbali o esperienze che gli facciano sentire benessere, adesione a modelli sociali ammirevoli, consulenze e sostegni professionali, e tutto ciò che può servire per renderli felici, secondo il punto di vista adulto.

Modalità che forse rispecchia un’importante fragilità di noi “grandi”, e quindi difficoltà nel poter svolgere il ruolo di interlocutore maturo di cui un adolescente ha certamente bisogno: qualcuno che lo ascolti veramente, accogliendo qualsiasi vissuto emozionale ed esperienza soggettiva.                                        Un adulto che non ambisca subito a soluzioni pronte o risposte perfette, ma che ammetta e riconosca dignità ad ogni espressione di chi sta crescendo.

Forse noi adulti ( come genitori, insegnanti, educatori, ecc.) stiamo trascurando il nostro senso di precarietà (amplificatosi negli ultimi anni), la difficoltà e il senso di inadeguatezza in certi passaggi, i timori generati da un futuro quantomeno incerto, che spesso ci rendono più fragili di quanto sembri in apparenza.

Di conseguenza fatichiamo a dare spazio a quel fondamentale scambio umano, che ad esempio, potrebbe fare la differenza per un ragazzo che di fronte a un “3”, vorrebbe parlare all’insegnante delle proprie difficoltà, avere un’attenzione al suo complesso mondo di persona, e magari trovare insieme risorse diverse, anziché aspettare la prossima occasione per rimediare con un bel voto e puntare alla “media” che gli garantirà la promozione…

Raramente riusciamo a creare una modalità di rapportarci che, per fare un altro esempio,  consentirebbe di esternare di fronte al proprio genitore il forte disagio che certi contesti competitivi possono rappresentare per un adolescente introverso e molto insicuro, senza il timore di essere considerato una persona problematica o deludente

Nell’ammirevole intenzione di volere il meglio per i giovanissimi con cui abbiamo a che fare, forse prima del renderli felici, potremmo aiutarli a sentirsi serenamente apprezzati ed amati per quello che sono e che riescono a fare in questo momento

Affiancandoli, per quanto possibile, nella strada impegnativa verso le crescenti responsabilità, che li porteranno a una sempre maggiore autonomia e capacità di scegliere la loro realizzazione.

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Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

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