Autoreclusi, invisibili, nuovi eremiti, così vengono chiamati.
Sono i giovani di età compresa tra i 14 e i 30 anni che, senza nessun disagio psicologico conclamato, ad un certo punto decidono di isolarsi dal resto del mondo per ritirarsi nelle proprie abitazioni in crescente, talvolta completa, solitudine e per almeno sei mesi. Sono prevalentemente maschi, intelligenti, sensibili, introversi, spessissimo primogeniti o figli unici e provenienti da famiglie generalmente benestanti.
Questo ritiro sociale avviene in fasi progressive in cui ci si allontana sempre di più dai luoghi in comune, dalla scuola innanzitutto, dai posti frequentati, dalle persone, dalle relazioni tutte, spesso a seguito e a causa di forti delusioni o eventi stressanti.
Il loro mondo assume la forma della cameretta disordinata dove si rintanano per lungo tempo. Un posto senza regole insomma, come chi lo abita. Dentro quelle quattro mura e al sicuro dal mondo, non ci sono orari, impegni, responsabilità e scambi se non quelli attraverso la connessione a internet, quindi virtuali o irreali.
Chiunque provi a tirarli fuori da quella stanza che è il loro microcosmo, l’isola del non essere, viene talvolta aggredito ed espulso.
Gli hikikomori, come descrive la parola giapponese stessa, scelta negli anni ’90 da uno psichiatra studioso del fenomeno, ci dice già molto della natura della questione: hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”, letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, questo è il loro intento, la loro necessità.
In Giappone i dati relativi a questo fenomeno sono importanti e da non sottovalutare quelli italiani: due milioni dei nostri ragazzi, dicono.
Mi sono chiesta il perché di questo fenomeno assieme ai genitori di un ragazzo hikikomori che aveva lasciato la scuola e da ben 9 mesi non si allontanava dalla sua stanza se non quando era costretto da atti estremi di chi cercava di strapparlo via da quell’isolamento.
Guardandolo negli occhi ho sentito tutta la sua paura di affacciarsi al mondo, come un animale rintanato che guarda fuori dal nascondiglio con terrore e sfiducia.
Dall’adolescenza si accede alla fase successiva trasformando una parte di noi stessi in un Sé Adulto capace di aprire la porta di casa al mattino per andare nel mondo. Questo processo di trasformazione richiede tutto il coraggio, l’entusiasmo e l’incoscienza (funzionale) della giovinezza.
I nostri ragazzi possono sentirsi impreparati ad affrontare tutto questo, spaventati al punto che, sul ciglio della vita, decidono di rinunciare a quel processo di cui sono i protagonisti.
E noi adulti possiamo comprenderli perché sappiamo che vivere non è sempre semplice, perché a volte non ci va di andare là fuori a combattere stando alle regole, non ci va di contrattare. A volte anche noi vorremmo starcene a casa, a crogiolarci, ad annoiarci, a non assumerci le responsabilità e capita, a dosi accettabili, di concederci di “non essere capaci” come in certe domeniche.
Noi sappiamo quanta grinta ci vuole per esserci e portare avanti passioni, impegni e obiettivi, così come ci è altrettanto chiaro che ciò richiede disciplina e volontà. Conosciamo però anche la soddisfazione dei traguardi raggiunti e delle buone scelte fatte, così come abbiamo imparato tanto dalle occasioni mancate, dalle amicizie perdute.
La vita ci ha insegnato la fierezza di andare avanti.
Ma gli adolescenti non hanno ancora fatto questa esperienza, né hanno sentito quanta tenerezza si può sentire verso se stessi provando di nuovo a farcela il giorno dopo una sconfitta o quanto possa essere importante vivere a pieno la relazione con gli altri anche quando fallisce.
I nostri ragazzi possono non sentirsi pronti ad affrontare tutto questo e scegliere così di ritirarsi dal gioco rinchiudendosi in quel nido in cui tutto è controllato, anche le emozioni.
L’adolescente che cavalca i due mondi, quelli del fanciullo e dell’uomo, va aiutato ad avere coraggio e fiducia nel futuro perché i piccoli passi sono frammenti di gloriosi percorsi e perché da questi si comincia sempre. Allora accompagnamoli(ci) come possiamo lungo la strada con quella riconoscenza che ci rimanda il valore del percorso. Assaporiamo con loro il gusto delle piccole cose portate avanti con costanza ed entusiasmo, consapevoli che il traguardo e il cammino coincidono laddove la grinta sposa la gratitudine.