La solitudine spesso è uno stato interiore e non una condizione reale. Molte volte nasce da un bisogno non sodisfatto di sentirsi amati e riconosciuti. Scatta soprattutto in quei periodi della vita in cui è alto il dislivello tra il nostro vivere ideale e la quotidianità, tra il desiderio di essere gratificati dall’altro e la frustrazione di non vivere relazioni appaganti.
Ti sei mai sentito solo, amico lettore? Ti capita di sentirti sola, amica lettrice?
Non sempre riusciamo a dare un nome ai nostri stati intimi, né a individuarne con chiarezza la causa. Quando ci sentiamo così è come se attorno a noi ci fosse un rumore continuo di cui non afferriamo il linguaggio. Non mancano le persone fisicamente, ma abbiamo la percezione di un’intercapedine che si crea tra noi e il prossimo, generando quello spazio vuoto in cui sembrano piombare e perdersi i messaggi in uscita e quelli in entrata. In altre parole abbiamo l’impressione che nessuno ci capisca o abbia voglia di ascoltarci profondamente.
Le parole perdono di senso e lo scoraggiamento ci assale, mentre l’idea di essere condannati all’incomprensione altera la percezione della realtà, insinuandosi in maniera sottile e potente nella nostra mente.
In fondo, in questo stato, pecchiamo di superbia. È come se il nostro ego, per sopravvivenza, ci mettesse su un piano diverso, convincendoci che siamo un po’ speciali, che nessuno sente come noi o può afferrare profondamente il nostro valore.
Dovremmo invece metterci in discussione, intanto cercando di individuare quale sia la ferita che ci tiene lontano dagli altri. Spesso proprio la paura di una delusione o del dolore ci fa creare rapporti con persone sbagliate per noi, che all’inizio avvertiamo innocue o affascinanti, ma che in realtà sono davvero lontane dal nostro essere e con poco desiderio di coinvolgersi veramente.
In altri casi semplicemente proiettiamo sull’altro la nostra inadeguatezza a vivere con totalità un rapporto. Dovremmo invece cercare di comunicare in maniera sane e , quando non funzionasse, di riadeguare la nostra comunicazione all’altro per creare un punto d’incontro, al fine di comprendere le necessità di entrambi e di non cominciare ogni discorso con quell’ ‘ Io…..’ immenso dinnanzi al quale chi ci ama si sente incapace o inadatto a soddisfarci.
La percezione di solitudine è quindi frequentemente un inganno dell’ego, che nasconde al mondo una reale ferita, amici mei! È una forma di chiusura un po’ snob, che altera il gioco delle parti. Ci teniamo isolati e pensiamo di non essere compresi, attribuendo al prossimo una grandissima responsabilità, ma il senso di vivere è l’apertura all’altro per confrontarsi e crescere. L’autorferenzialità ci rende incapaci di valutare serenamente e altera la nostra percezione della realtà. Non c’è ferita che giustifichi la chiusura totale. una ferita di relazione si cura nella relazione, rimettendosi in gioco.
Allora possiamo darci un piccolo suggerimento. Viviamo la vita del quotidiano con autenticità. La sincera comprensione di noi e del mondo passa per la nostra predisposizione ad essere naturale, ad essere noi stessi