Tempo fa durante una passeggiata in un incantevole paesino umbro mi sono imbattuta in piccoli, deliziosi vicoli ricchi di bellezza e armonia.
Sul muro di una casa, sotto un balconcino adornato di fiori colorati e allegri, vi era una targa che incoronava quel vicolo come il vincitore del concorso di bellezza tra i vicoli di Spello. Incuriosita dalla cosa ho chiesto in giro alle persone del posto e scoperto con grande piacere che ogni anno, tra la primavera e l’estate, si tiene una competizione tra gli abitanti del paesello per lo scorcio, l’angolo, la finestra o il balconcino più bello.
Ho immaginavo il fervore della preparazione, la creatività, le riunioni in famiglia per organizzare il lavoro, il brainstorming sulle novità da introdurre per essere ancora più incantevoli e la cura quotidiana, costante, fatta di tempo e dedizione. Ho sentito lo sforzo nel sostenere tanta bellezza, il sacrificio a supporto della grazia.
Quanta energia e grinta scaturite da questa competizione! E quanta bellezza creata e a beneficio di tutti!
Ho riflettuto così sull’importanza dell’essere in gara e della sua relazione con la bellezza.
Di esempi in tal senso la storia ne è ricolma. Nel Medioevo, e non solo, le famiglie più facoltose, per ostentare ricchezza e potere, commissionavano a scultori, architetti e pittori, opere maestose che riempivano le città di armonia e arte: Firenze e le sue altissime torri (se ne contano più di 150), Bologna, Orvieto, Ravenna, Caserta e la sua Reggia per non dimenticare Roma, immensamente bella e quasi interamente costruita dalle intenzioni di essere i migliori superando gli altri in potenza a colpi di creatività e ingegno.
Ma non è necessario scomodare la storia o andare troppo lontano nel tempo e nello spazio per cogliere le risorse che le competizioni portano.
Quando partecipiamo a un concorso per un posto di lavoro, a una gara sportiva, al saggio di danza di fine anno o vogliamo conquistare la persona che ci piace, mettiamo in campo passione ed energia, attenzione, disciplina e organizzazione.
E mentre ci dedichiamo all’obiettivo impariamo la pazienza, sopportiamo la difficoltà, gioiamo dei progressi, aguzziamo il cervello per essere più performanti così che nell’intento di essere migliori degli altri miglioriamo noi stessi spostando più in alto l’asticella dei nostri sogni.
Chiaramente la competizione ha anche dei risvolti poco edificanti, figli di un’ invidia che distrugge perché non fa tesoro del confronto con l’altro, ma qui preferiamo sottolineare ciò che dà e non ciò che toglie. Discostandoci dal luogo comune che vede nella lotta per la vittoria solo aspetti poco costruttivi, ci accorgiamo, pur non negandoli, che da ogni esperienza, anche quella che ci vede “in guerra” col nostro vicino, si può trarre l’occasione per sentirsi più vicini a se stessi.
Nel gareggiare infatti impariamo molto su noi, svincoliamo parti che in tempi di “pace” sono assopite perché non stimolate dal confronto e dalla sete di vittoria. Mi riferisco alle nostre parti guerriere, atlete e performanti, troppo spesso ricacciate nello sgabuzzino del giudizio e che, seppur con fatica, continuano a sostenerci.
Questi Sè ci appartengono e se chiamati in causa ci trascinano fuori dalla tana calda e sicura della routine per scendere in campo con grinta, determinazione e amor proprio. In tal senso la competizione può essere all’origine della diffusione della bellezza poiché dal confronto con gli altri traiamo la forza e l’ispirazione per superare i nostri limiti trasformando così l’arrivismo in altruismo.
Nella competizione infatti la bellezza si manifesta almeno tre volte: quando raggiunge il traguardo, durante il percorso e nell’armonia che produce e porta nel mondo.