La gioia dimenticata dell’inutile

Viviamo nell’era della massimizzazione. Ogni nostra azione, dal mattino alla sera, è spesso filtrata dalla domanda implicita: “A cosa serve?”. Lavoriamo per guadagnare, facciamo sport per “dover” essere in forma, leggiamo per “dover” imparare, e persino i nostri hobby a volte si trasformano in un curriculum di abilità da esibire.

Siamo immersi in una società prestativa e competitiva che ci sussurra che ogni minuto deve essere produttivo. Non c’è spazio per il vuoto, per l’ozio, per le attività fini a se stesse. E così, ci ritroviamo a fare le cose perché dobbiamo, o perché ci aspettiamo di ricavarne un qualche tipo di utilità: un miglioramento, un riconoscimento, un risultato misurabile.

Questo costante “dover fare” ci allontana da una parte fondamentale della nostra psiche: il piacere disinteressato.

Ti ricordi l’ultima volta che hai fatto qualcosa unicamente per la gioia intrinseca dell’azione? Senza aspettarti un premio, un like, o un beneficio tangibile?

Hai cucinato un piatto complesso solo per l’odore che si diffondeva in casa?

Hai fischiettato una melodia mentre camminavi, senza preoccuparti di quanto fossi intonato?

Hai sfogliato un libro d’arte, pur sapendo che quelle nozioni non ti serviranno mai nel tuo lavoro?

Queste piccole sacche di gioia non produttiva sono vitali. Sono la nostra vera benzina emotiva, il modo in cui ricarichiamo le batterie dell’anima, non solo del corpo.

La domanda che sento arrivare, perché in effetti la sento molto spesso dai miei clienti, è: “E se non so cosa mi piace?“.

È un timore legittimo. Quando l’unica metriche che usiamo è l’utilità, il nostro radar interno per il piacere fine a sé stesso si atrofizza. Magari un tempo amavi dipingere, ma l’idea di “non essere bravo” ti ha bloccato. Forse adoravi il giardinaggio, ma pensavi “non ho tempo”.

La buona notizia è che il desiderio non muore, è solo sopito. L’unico modo per risvegliarlo è l’esplorazione.

Non aspettare che il piacere bussi alla tua porta con un invito formale. Ricontatta la tua parte bambina, quella che trovava entusiasmante l’atto stesso di esplorare.

Qualche idea:

  1. Prova a leggere un genere nuovo: Se non hai mai letto un romanzo, prova! Se leggi solo saggi, tuffati in un giallo. L’atto di leggere, senza il fine di studiare, è un piacere sensoriale.
  2. Iscriviti a qualcosa di inaspettato: Un corso di ballo, un laboratorio di ceramica, un gruppo di lettura, un corso di fotografia. L’obiettivo non è diventare un esperto, ma vedere se l’esperienza ti diverte.
  3. Riconquista l’esterno: Fai un pic-nic improvvisato, siediti in un parco solo per osservare, o passeggia senza meta. L’obiettivo è assorbire il momento, non “fare chilometri”.
  4. Partecipa a una delle tante lezioni gratuite di prova di una qualsiasi attività fisica che non hai mai sperimentato: yoga, pugilato, nuoto, pattinaggio…
  5. Scegli uno spettacolo teatrale da vedere, in solitudine o in compagnia.
  6. Affacciati alla finestra con una tisana, magari di un gusto mai provato, e resta lì finché vuoi, senza fare nient’altro.

L’importanza non sta nella scelta che fai, ma nell’atteggiamento con cui ti ci approcci: senza giudizio e senza scopo.

Non lasciare che il mondo esterno, con la sua ossessione per l’efficienza e il successo, spenga il tuo desiderio assolutamente legittimo di stare bene.

Staccare la spina, permetterci la gioia, l’ozio creativo, o anche solo la contemplazione, non è un lusso: è una necessità psicologica.

Dobbiamo a noi stesi il permesso di esistere e di gioire, al di fuori dei confini della produttività. E possiamo iniziare proprio oggi, con un’azione piccola, semplice e, soprattutto, inutile.

Come al solito, ti invito a condividere nei commenti: quali sono i tuoi spazi di inutilità preferiti? Ti concedi di esplorare? Come ti senti, quando fai qualcosa senza altro scopo se non il piacere di farla?

 

Foto di Patrik László su Unsplash

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