Mi colpisce sempre trovarmi di fronte a qualcuno che racconta di una sua difficile condizione di vita, che gli produce un disagio diventato insostenibile per certi versi, ma di cui non vede alternative. Percepirsi in un vicolo cieco è certamente molto faticoso, anche sfinente in alcune situazioni.
A volte ci sono circostanze di questo tipo che durano da lungo tempo…magari anni e diventano la nostra unica possibilità, ciò che apparentemente siamo.
Quello che appare di noi, l’immagine che mostriamo al mondo, penso sia strettamente connessa al nostro bisogno di essere accettati, apprezzati, amati e di conseguenza i contesti che ci sono abituali ci possono condizionare e limitare entro schemi consueti, affinché quel bisogno sia appagato. Almeno ciò che speriamo, e spesso vogliamo credere, è che quell’idea che gli altri nel tempo si sono fatti di noi ci garantisca la loro approvazione e vicinanza.
Quando constatiamo però che questo non avviene più, o che mantenere quell’immagine inizia a crearci un conflitto interiore con le nostre esigenze profonde, talvolta persino con i nostri valori, cresce in noi un certo malessere…
Difficilmente in certi momenti riusciamo da soli a soffermarci sulla preziosità della scelta; al contrario emerge un’impressione di scarse potenzialità e sentiamo tanti limiti oggettivi, ovvero esterni a noi.
Il concetto di scelta è tra i temi fondamentali del pensiero del filosofo danese Soren Kierkegaard, (vissuto nella prima metà dell’800): suddivide la vita dell’individuo in vari stadi alternativi tra loro, per cui a determinare il percorso della persona è la sua eventuale scelta (agita o elusa).
In particolare trovo un utile spunto nel passaggio che, secondo lui, avviene nello “stadio etico” in cui l’uomo “sceglie di scegliere”, ovvero di prendersi la responsabilità della propria libertà di decidere.
Nei momenti di difficoltà, solitamente la potenzialità di discernere viene offuscata nei nostri pensieri da senso di frustrazione, insicurezza e magari rabbia, mentre ho constatato che la sola considerazione (affatto scontata) che possano esistere alternative può alleviare l’insostenibile impressione del vicolo cieco.
Ma anche solo per immaginare condizioni diverse da quella vissuta al momento è necessaria un’apertura, una volontà di considerare altri punti di vista, ovvero la possibilità di scegliere altro.
Credo che un aiuto esterno possa sostenerci in questo passaggio che può chiaramente spaventarci, (non fosse altro perché non conosciamo in cosa potrebbe consistere l’eventuale “altro”), ma trovo molto utile ricordare che quando ci prendiamo la responsabilità di ascoltarci profondamente, rispettando di più il nostro Essere, anche la nostra apparenza può diventare parte di una scelta.
Intendo dire che il ruolo, l’immagine di sè finora mostrati in certi contesti, potrebbero continuare ad essere la modalità più funzionale per gestire determinati rapporti, ma molto diversa sarà la percezione che ne può conseguire se anziché vederla come l’unica via, la sento frutto di una mia decisione.
Avendo il privilegio di ascoltare tanti vissuti, ho però anche sperimentato come a volte definiamo delle scelte (di vita o nelle piccole cose del quotidiano) apparenti: in effetti non decidiamo rispettando le nostre vere esigenze, i nostri desideri, ma mossi dal bisogno di approvazione e conferma dall’altro. Anche nel tentativo di evitare critiche e dolorosi giudizi da parte di chi ci sta a cuore…
In altri termini lasciamo che siano gli altri a scegliere per noi.
Contrariamente al citato filosofo Kierkeegard, che con una visione sostanzialmente pessimistica considera l’uomo incapace di orientare la propria vita verso una condizione costruttiva e appagante, credo che la capacità di scegliere sia una virtù dell’essere umano. Pur se faticosamente a volte, ci può rendere artefici del nostro percorso per procedere quindi verso una possibile autonomia personale.
“Scegli sempre il cammino che sembra il migliore anche se sembra il più difficile: l’abitudine lo renderà presto piacevole”
Pitagora