Tutti conosciamo la storia di Circe grazie ai più di quattrocento versi che Omero le dedica nel decimo canto dell’Odissea, in cui si racconta del suo incontro con Ulisse e di come abbia trasformato i suoi compagni in porci. La dea-maga, l’amante per antonomasia, dalla bellezza insidiosa e dal carattere imprevedibile, confinata sull’isola di Eea, implacabile contro chiunque le manchi di rispetto.
“Più tardi, molti anni più tardi, avrei udito un canto ispirato al nostro incontro. […] Non mi sorprese come venivo ritratta: la maga altezzosa annichilita di fronte alla spada dell’eroe, inginocchiata a supplicare pietà. Le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo o piangiamo”.
Madeline Miller in “Circe”, il romanzo uscito nel 2018 negli Stati Uniti e nel Regno Unito che da lì ha scalato le classifiche di mezzo mondo, edito in Italia da Marsilio nel 2019 e ancora in cima alle preferenze dei lettori, ci restituisce una figura ancora più conturbante di quella classica da cui si resta immediatamente ammaliati.
Circe narra la sua storia dall’inizio. Figlia del titano Elios, dio del sole, e della naiade Perseide, viene assurta nella prima parte della sua immortale esistenza al rango di ninfa.
“Quella parola, ninfa, misurava l’estensione e l’ampiezza del nostro futuro. Nella nostra lingua significa non solo dea, ma sposa”.
Eppure, Circe appare subito diversa dai fratelli Perse e Pasifae e persino dall’adorato Eete, i quali vanno incontro senza reticenza al destino del loro lignaggio. Circe, invece, rivela una natura sensibile, un carattere schivo, un’ingenuità quasi funesta per un’anima immortale che la porteranno a perdere l’innocenza in modo brusco e a subire l’esilio sull’isola di Eea, dove diventa consapevole delle sue doti di maga.
“Lasciate che vi dica cosa non è la magia: non è un potere divino che sgorga con un pensiero e un batter d’occhi. La magia dev’essere creata e plasmata, pianificata e investigata, estratta, essiccata, sminuzzata e macinata, bollita, evocata con parole recitate e cantate. E ancora, può fallire, come agli dèi invece non succede.”
Nelle pagine della Miller la figura di Circe emerge in tutta la sua umanità, una donna disposta a sporcarsi le mani, libera dal giudizio del padre e degli dèi e forte di quelle contraddizioni che solo i personaggi del mito sanno contemperare.
“Ciò che amo di queste storie – spiega l’autrice nel suo intervento all’ultimo Festival del Classico, organizzato dal Circolo dei lettori di Torino lo scorso novembre – è che anche se riusciamo a identificarci, allo stesso tempo, funzionano come caleidoscopi: se li giriamo appena il punto di vista cambia completamente. […] Adoro l’estrema ricchezza di questi testi, basta continuare a girare il caleidoscopio, per trovare nuove storie ai margini”. (Se vuoi ascoltare tutto l’intervento di Madeline Miller clicca qui).’
Una lettura ispiratrice che ha il potere di un’evocazione. E per quanto sia difficile abbracciare totalmente la figura di Circe, la narrazione del suo intramontabile mito è ancora una volta l’occasione di riflettere sulla potenza del femminile, non solo come l’insieme delle caratteristiche che si possono riferire alle donne, ma come energia che appartiene a tutti, che è legata al sentire e per questo è libera, che sa trasformare e compiere magie.
Immagine: Franz von Stuck, Tilla Durieux nei panni di Circe (1913).