Giorni fa mi sono imbattuta in un articolo che parlava di una ricerca inglese effettuata su un campione significativo di famiglie con figli di età inferiore ai 10 anni e relativo all’abitudine di leggere le favole della buonanotte ai propri piccoli. I risultati di questa ricerca mi hanno colpita: una percentuale rilevante di genitori, pari a un quarto degli intervistati, utilizza un dispositivo tecnologico, il cosiddetto“assistente personale intelligente” (alexa di amazon ad es), per raccontare le fiabe prima della nanna.
Si tratta di un piccolo speaker connesso a internet e sempre ai nostri comandi vocali, che interagisce con noi rispondendo alle domande, assolve compiti di vario genere, ci dice, ad esempio, che tempo farà, prenota per noi un aereo, sceglie la nostra musica preferita mettendola in onda, fa ricerche specifiche e, a quanto pare, sempre su nostra richiesta, legge le favole ai bambini.
La voce, a scelta, maschile o femminile, è da lento cronista radiofonico, in italiano semplice, senza inflessioni dialettali, senza coinvolgimento emotivo, senza empatia, insomma “senza”: un robot con la voce umana ma che umano non è.
Ho pensato, a quel punto, al ruolo della voce nella comunicazione e nella relazione con gli altri e ho compreso quanti contenuti importanti essa porti nella nostra vita e a quanto sia sottovalutata la sua essenzialità.
Ci svegliamo con una canzone e quel canto ci parla di allegria o di nostalgia, ascoltiamo il vocìo dei colleghi in ufficio, la risata che arriva dalla strada, gli urletti gioiosi di un bimbo entusiasta del mondo da poco scoperto, le grida della rabbia, il tono scocciato del ragazzino che deve ubbidire a quello assertivo di un allenatore severo, il singhiozzo impastato di parole in un pianto, il sussurro complice e dolcissimo di chi ci parla con amore. Tutto questo e molto altro ancora arriva a noi attraverso questo elemento insostituibile che è la voce e ci condiziona al punto da influenzare la qualità delle nostre giornate e relazioni.
Nelle sue innumerevoli sfumature che impariamo a riconoscere in chi abbiamo accanto, sono contenuti codici di comportamento, informazioni, emozioni.
Andrè Thomas, uno studioso della neurologia della nutrizione, ha dimostrato, con “la prova del nome” (un esperimento in cui un bambino di appena 10 giorni di vita se è la madre a pronunciare il suo nome, sposta come può il suo corpicino verso di lei), la capacità del feto di riconoscere la voce della sua mamma.
Negus, uno zoologo inglese, scoprì che gli uccelli imparano a cantare già dentro l’uovo grazie ai suoni emessi dalla madre che attraversano il guscio ed educano alla sonorità.
Quanti esempi, anche scientifici, potremmo fare per cogliere il potere di legame della voce!
Un potere educativo, nutritivo. E quante volte ci siamo nutriti di un canto, magari il nostro sotto la doccia in una sorta di inno alla spensieratezza, di una poesia recitata, di una telefonata di un caro lontano ma vicino al cuore e quanto abbiamo colto dal suono di alcune parole al punto da comprendere l’animo dell’altro e, se ci pensiamo, che cosa daremmo per ascoltare ancora la voce di un amato perduto?
Quanta ricchezza contiene la voce umana.
Ed è tanto prezioso ascoltarla quanto produrla.
Parlare è esprimere, è portare fuori, è appunto, dare voce a parti di sé che cercano spazio di ascolto nel mondo.
Ma come sappiamo, si impara a parlare ascoltando. Ogni uomo, da bambino, ha imparato così, ascoltando e imitando, in un processo di continuo scambio con l’ambiente dentro e fuori di sé.
E se siamo stati così fortunati da aver avuto qualcuno che prima della nanna ci ha letto o raccontato favole interpretandole come fosse un attore, allora sappiamo cos’è quello spazio intimo e privilegiato in cui la relazione si è creata, rinsaldata, rassicurata.
Per un bambino ascoltare la voce, seppur stanca di un papà, dolce di una mamma o buffa di un nonno che la camuffa per sembrare cappuccetto rosso, è entrare in quella storia d’amore che la voce traduce. Da adulti il racconto dell’altro può essere il nostro per il cucciolo di casa o per noi stessi in quei discorsi ad alta voce fatti tra sé e sé e dove parola e ascolto si incontrano.