Come esseri umani, animali dotati di forte istinto di conservazione, abbiamo solitamente difficoltà con i cambiamenti, chi più, chi meno.
Suppongo che sia capitato un po’ a tutti nella vita di ricevere consigli, solitamente non richiesti, che iniziano con “devi cambiare” seguito da atteggiamento/casa/lavoro/modo di vestire/parole usate o qualsiasi altro aspetto della vita, dal più piccolo al più grande.
Come ci siamo sentiti?
Oppure, messi di fronte al dato di fatto che una modifica in questo o quell’ambito della nostra esistenza è diventato necessario ed inevitabile, quanto abbiamo fatto resistenza prima di compiere quel passo?
Quante volte, guardandoci indietro, ci siamo detti che avremmo dovuto cambiare prima, oppure ci siamo congratulati per aver superato quel momento impegnativo che il cambiamento ci stava richiedendo.
Nel counseling mediacomunicativo, anche per l’ansia che mediamente accompagna il solo sentir nominare un cambiamento, usiamo un’altra parola.
Ma prima di dirtela, mi soffermo un attimo sul significato della parola “cambiare”, che viene dal greco kamptein, “curvare”.
Questo verbo noi lo usiamo anche per gli oggetti, come cambiare una lampadina, cambiare macchina, cambiare vestito. Questa azione la facciamo perché qualcosa è rotto, non va bene, è sporco o non ci piace più.
Ecco che dentro di noi pensare di cambiare già si associa con qualcosa che ci fa sentire sbagliati, in qualche modo.
Come possiamo, allora, pensare alle modifiche che vogliamo apportare nel nostro quotidiano, in un modo alternativo, un modo che non stimoli la nostra paura, ma ci renda appetibile il piccolo o grande salto nello sconosciuto che stiamo per fare?
Parliamo di trasformazione. Trasformazione è una parola bellissima, il cui significato, dal latino transformare, significa dare una forma oltre, al di là.
Ciò che siamo non è sbagliato, costituisce il bagaglio di tutte le esperienze che abbiamo avuto, quindi non va sostituito come la lampadina fulminata di cui sopra. Al contrario, va valorizzato e portato oltre, ad una nuova forma.
La farfalla porta con sé il bruco che era prima, perché è grazie a lui se ha messo le ali.
Da questo punto di vista, davanti a un cambiamento scelto o subito, possiamo chiederci: quale parte di me ho paura di perdere? Dove mi sento messo in discussione? Quali esperienze vissute sinora possono aiutarmi ad affrontare il passaggio? Chi sono i miei alleati, da chi posso ricevere sostegno? Quali vantaggi avrò, una volta che avrò raggiunto quel punto “oltre”? Che forma immagino? Di cosa ho bisogno per arrivare là?
Spero che questo punto di vista possa servirti in questo momento e sarò lieta se vorrai raccontare nei commenti di quella volta in cui hai trasformato.
[Foto di Suzanne D. Williams su Unsplash]