Chi di noi non ha mai sbagliato e si è sentito in colpa? E, soprattutto, chi di noi non si è mai rimproverato un errore?
Nella vita capita spesso di fare scelte che, a posteriori, giudichiamo scorrette, sbagliate, addirittura catastrofiche.
Il modo in cui le giudichiamo dipende dalle conseguenze che tali scelte hanno generato, o che noi percepiamo ad esse collegate.
Infatti, come scrivevo già qui, è un meccanismo diffuso per noi collegare la situazione presente a decisioni passate con un nesso causa- effetto che però non necessariamente esiste.
Intanto, è sempre bene ricordarci che quello che chiamiamo errore è frutto delle conoscenze e stato d’animo che avevamo al momento. La vita non è un problema di matematica che può essere risolto conoscendo l’equazione ed inoltre non tutto dipende da noi. Ci piacerebbe avere il controllo di ogni cosa, ma il controllo è un’illusione e può diventare anche una gabbia molto stretta.
Questo però è un argomento che mi porterebbe lontana da ciò che voglio fare oggi con questo articolo: suggerirti una pratica di amorevolezza verso di te, qualcosa di molto semplice ma potentissimo che uso su me stessa e che aiuta anche molti miei clienti.
Forse hai figli, ma se non ne hai immaginati di essere un bambino piccolo, o meglio ricordati com’eri.
Quindi: hai davanti a te un bambino (o una bambina) a te molto caro. Questo bambino è avvilito, si sente molto stupido, perché ha fatto un errore. Può essere un errore su un compito, o mentre praticava uno sport, qualsiasi cosa. Non è importante quale errore, è importante lo stato d’animo.
Tu, da persona adulta, gli diresti che è uno stupido, buono a nulla, incapace di vivere e che ha rovinato tutto?
Non credo… Anche perché queste parole forse possono aiutare a fare meglio la prossima volta? Non credo nemmeno questo.
Lo sbaglio, se di sbaglio si tratta, di questo bambino ti impedirebbe forse di amarlo?
Direi di no: un buon genitore non smette di amare il proprio figlio perché sbaglia le tabelline, o non passa bene la palla a basket.
Un bambino avvilito, che si sente stupido e si rimprovera, vorrebbe soltanto sentirsi amato così com’è.
Noi, da adulti nei quali vive una parte bambina sensibile, giocosa e vulnerabile, abbiamo lo stesso desiderio. Temiamo che l’errore ci renda indegni del riconoscimento e dell’amore degli altri.
E allora, veniamo all’esercizio: ogni volta che ti rimproveri di aver sbagliato – fosse anche che hai dimenticato di salare l’acqua della pasta – ripeti dentro di te il tuo nome e poi “ti voglio bene, ci sono per te e ci sarò sempre per te”.
Per esempio: “Anna, ti voglio bene, ci sono per te e ci sarò sempre per te“.
Se puoi, fallo ad alta voce.
Fallo anche se ti senti falso, fallo anche se non credi a quelle parole, fallo. Vai avanti così per almeno una settimana e nota cosa succede dentro di te.
Siamo così abituati a giudicarci per prestazioni, siamo così spaventati dall’imperfezione, che ci dimentichiamo quanto bisogno abbiamo di amorevolezza.
Più siamo distanti da questo sentimento, più sviluppiamo pretese altissime verso di noi e verso gli altri.
Ma di amorevolezza abbiamo un gran bisogno, perchè se guardiamo con le sue lenti, trasformiamo. Le lenti del giudizio, invece, portano fissità, distanza e chiusura.
Come esseri umani andiamo nel mondo facendo esperienza, che consiste proprio nel provare, sbagliare, ricalibrare, riprovare e così via. Da piccolissimi abbiamo imparato a camminare e potrei scommettere che almeno un paio di volte ci siamo ritrovati per terra. Però abbiamo insistito, il nostro corpo ha trovato l’assetto necessario e prima o poi abbiamo camminato, poi corso, saltato e così via.
Da adulti non è molto diverso e quelli che chiamiamo errori sono esperienze preziose, perché ci insegnano tantissimo. Per imparare da esse però, è meglio uscire dall’auto rimprovero e abbracciarci davvero per come siamo: imperfetti.
Anche oggi spero di averti dato uno spunto utile. Se praticherai l’esercizio e avrai voglia di raccontarmi com’è andata, ti aspetto nei commenti.
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Foto di lauren lulu taylor su Unsplash