Il SOCIAL HOUSING

Postato da on May 5, 2014 in a casa di Lori e Giò | 0 commenti

Il SOCIAL HOUSING

Qualche giorno fa abbiamo letto di una proposta di legge in tema di “Housing sociale” secondo la quale lo Stato garantirebbe l’accesso ai mutui bancari anche a quelle persone che a causa delle loro condizioni economiche non ne avrebbero il diritto.

Questa affermazione ci ha lasciati alquanto perplessi perché in effetti, anche se nel dire comune “Housing sociale” evoca la strada da percorrere per garantire la realizzazione di alloggi di tipo sociale, in realtà, questo concetto in questi anni ha avuto un significato un po’ diverso da quello della proposta di legge.

Allora, cosa vuol dire Social Housing? Partiamo dalla definizione generale data dal CECODHAS (Comitato di coordinamento europeo dell’alloggio sociale), secondo il quale significa “l’insieme delle attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà nel trovare un alloggio alle condizioni di mercato perché incapaci di ottenere credito o perché colpite da problematiche particolari cercando di rafforzare la loro condizione”.

Siamo quindi in presenza di un’edilizia residenziale che evidentemente è esclusa dal libero mercato, ma in che modo si differenzia da quella che identifichiamo in casa popolare?Oggi l’alloggio di tipo popolare è assegnato agli utenti sulla base di graduatorie basate prevalentemente sul reddito; ciò evoca lo spettro di liste lunghissime, regolate da logiche perverse secondo le quali soggetti con ambigue dichiarazioni dei redditi, o poveri che poveri non sono, possono usufruire della possibilità di avere un alloggio popolare in modo indiscriminato. Inoltre gli alloggi vengono assegnati senza limiti di permanenza ed a volte con possibilità di acquisto dopo alcuni anni.

Il problema della scarsa possibilità di accesso al mercato dell’alloggio nasce dal fatto che esso è prevalentemente legato alla vendita: i due terzi delle abitazioni presenti sul territorio sono di proprietà, mentre solo il 6% è destinato al mercato sociale dell’abitazione, a discapito delle fasce di utenza più svantaggiate rispetto ad una sempre crescente richiesta di alloggio. Inoltre l’incremento dei prezzi di mercato delle case e la riduzione del potere di acquisto delle famiglie hanno, negli ultimi anni, aumentato il bisogno di locazione ed acquisto a prezzi calmierati anche da parte di soggetti “troppo poveri” per sostenere le condizioni di mercato ma “troppo ricchi” per accedere all’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), le cosiddette “case popolari”. Inoltre il disagio abitativo riguarda anche i ceti medi che pur non essendo particolarmente svantaggiati, non riescono comunque ad accedere alla casa in proprietà.

ISocial Housing-“edilizia sociale”, dovrebbe quindi risolvere alcuni dei problemi legati all’abitare, dato che è inerente a tutto ciò che attiene all’offerta sociale di abitazioni, quali il disagio economico, ma anche il disagio “temporaneo” dei lavoratori a tempo, degli studenti, dei singles, ecc. utilizzando prevalentemente case date in affitto che quindi non potranno mai essere vendute.

Ma come si attua? Il Social Housing si attua con la costituzione di un fondo immobiliare e quindi con la presenza di un gruppo di investitori che conferiscono al fondo dei beni sotto forma di denaro o di immobili. Il fondo immobiliare è gestito da una Società di Gestione del Risparmio che deve comunque assicurare un rendimento sull’investimento. Qui sta la maggiore differenza con quanto letto in merito al progetto di legge, per cui la terminologia può creare una grave confusione.

Oggi opera ilFondo Investimenti per l’Abitare” (FIA), promosso dal Ministero delle Infrastrutture e gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR, che ha come obiettivo proprio la ricerca di investimenti per la realizzazione e la gestione di alloggi, servizi e strumenti destinati a famiglie (giovani coppie, studenti, anziani ecc.) non in grado di reperire una propria abitazione sul mercato, ma con redditi superiori a quelli che danno diritto alle assegnazioni dell’edilizia residenziale pubblica.

Gli interventi di Social Housing perseguono quindi l’obiettivo di massimizzare la quota di alloggi locati a canone calmierato, convenzionato o anche sociale, prevedono canoni di locazione inferiori al livello di mercato, in cui viene stabilito anche un obiettivo di rendimento calmierato, prevedendo un minimo ed un massimo per anno, oltre all’inflazione.

Certamente sarebbe un intervento dal forte valore sociale e potrebbe essere una risposta anche per la fascia dei meno abbienti, se le amministrazioni locali potessero sopperire a parte del pagamento del canone con un contributo diretto. Un approccio di questo tipo porterebbe ad una nuova politica di riferimento su tutto il problema “casa” di tipo più “europeistico”, visto che negli altri paesi la quota di alloggi pubblici è enormemente superiore alla nostra ed è disponibile per ampie fasce di popolazione, e che gli alloggi pubblici restano di proprietà pubblica, e l’eventuale aiuto dello Stato ha durata limitata nel tempo. In paesi come la Germania e l’Olanda, il settore privato svolge un ruolo equivalente a quello delle società pubbliche, mediante attività di costruzione, finanziamento e gestione dell’alloggio rivolto al mercato“sociale”, essendo così in grado di offrire abitazioni di qualità elevata a canone moderato.

 

 



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