Nutrirsi. La metafora della Vita.

Postato da on November 15, 2012 in nutrirsi consapevolmente | 4 commenti

Nutrirsi. La metafora della Vita.

E’ un vero piacere potermi occupare di questa rubrica che punta il focus sulla nutrizione consapevole. Ci sono molti spunti sul web, e non solo, che si occupano di cucina in senso stretto e che quindi offrono una quantità generosa di ricette. Altri contesti affrontano il settore culinario ponendo l’attenzione alla miriade di diete dimagranti da poter seguire, dico dimagranti perché la pinguedine sembra essere “il male” odierno. E da qui si passa alle costanti ricerche psicologiche che arricchiscono giornalmente la letteratura in materia di disturbi dell’alimentazione. Insomma sembra che la questione del nutrimento abbia un certo peso e sia l’oggetto di attenzione, e spesso di preoccupazione, di molti di noi. A mio avviso, anche e soprattutto per esperienza personale, credo che non si possa affrontare l’argomento “cucina” in senso stretto se prima non si approfondisce l’ambito del nutrimento in senso più ampio. E forse, a volte, per trovare l’aspetto di risorsa partendo da uno stato di disagio, è più strategico e opportuno considerare una situazione guardandola a 360° piuttosto che soffermarci su un particolare, importante certamente, ma pur sempre una piccola parte del tutto. In fondo non possiamo ritenere di essere una cifra della bilancia, in eccesso od in difetto che sia! Ecco perché vorrei condividere con i lettori quali sono gli altri aspetti della Vita che ci nutrono e che saziano la nostra fame di equilibrio interiore ed esteriore.

Parlare di “cucina consapevole” è un compito molto serio perché la stessa espressione prevede uno stato di consapevolezza in un ambito che va oltre il semplice “mangiare”. Quando penso alla cucina consapevole non posso fare a meno, come ho già accennato, di immaginarmi la liaison con il concetto ben più ampio di “nutrimento”. Questa parola accoglie in sé una moltitudine di ambiti e di significati laddove non si riferisce  al mero ingerimento di cibo ed alla sua successiva assimilazione, ma si collega alla quotidiana capacità di nutrire le mille sfumature di noi stessi. Ma cosa vuol dire quindi “nutrirsi”? A mio avviso nutrirsi significa innanzitutto essere in contatto costante e profondo con i propri bisogni in un continuo processo di ri-apprendimento del nostro “sentire”. Solo nell’autentico contatto con le nostre emozioni e sensazioni è possibile agire concretamente la nostra libertà di scelta, che ci si riferisca alla scelta di un cibo, di una relazione, di una meta o di una qualsiasi altra cosa non ha molta importanza. E’ una questione di coerenza con la parte più intima di noi. L’ascolto con noi stessi, pertanto, ci porta a scegliere cosa può nutrirci veramente tenendo conto delle quantità e delle qualità giuste per noi, che sono lontane da criteri oggettivi ma rispondono esclusivamente a ciò che effettivamente ci serve per sentirci in equilibrio. Inoltre quando si cucina, ma non solo, entriamo anche in contatto con i tempi e i ritmi. E magari l’impazienza per una lunga cottura ci parla di noi rimandandoci lo stato d’animo del momento o la tendenza ad avere fretta nella preparazione di un cibo anche quando abbiamo tempo, ci potrebbe dire, forse, che la nostra parte prestativa ed attivista sta prendendo il sopravvento su quella legata alla piacevolezza. Mille possono essere le possibilità ma la questione è che il cucinare con consapevolezza vuol dire saper cogliere in quell’atto i segnali di come ci sentiamo, insomma essere presenti anche quando mondiamo una patata!

Ma poiché abbiamo detto che siamo fatti di mille sfumature, ed aggiungerei di mille sapori, è opportuno ritenere che anche la varietà del nutrimento possa fare una certa differenza nella nostra vita. In tal senso sembrerebbe stimolante allenarsi all’esperienza e cosa, più della cucina, può offrirci tale possibilità? Sperimentare vuol dire” mettersi in gioco” ed il gioco si sa, è l’azione creativa che appartiene alla nostra parte bambina che si nutre di entusiasmo. E allora sentire nelle mani la consistenza di un impasto, respirare profumi esotici o familiari, gustare sapori vecchi e nuovi e fantasticare a suon di frigolii, ci trascina in un’altra dimensione dove l’atto del cucinare diventa una Magia. Ma le migliori “pozioni” esigono la scelta accurata degli elementi che la compongono, ecco perché, anche in cucina, è fondamentale la scelta degli ingredienti. Essa non può prescindere né da una buona qualità del prodotto che predilige la stagionalità dei cibi nel pieno rispetto dei cicli naturali, né dalla considerazione di scelte etiche, ponendo attenzione anche ai prodotti del commercio equo solidale. “Trattare”  e considerare il cibo in maniera equa e solidale, a mio avviso, arricchisce il prodotto di una qualità superiore.

Quindi il cibo andrebbe scelto sulla base di una pluralità di caratteristiche perché solo così si “condisce” di senso. Non sarà un caso se le grandi religioni o le grandi scuole filosofiche abbiano ritenuto che una certa dieta alimentare potesse agevolare o ostacolare il progressivo avvicinamento al divino. D’altro canto il termine «dieta» deriva dal greco diaita – regola di vita- ossia scelta nel modo di vivere.

Cucinare in maniera consapevole, quindi, è un atto di profondo accudimento e cura verso  noi stessi in cui l’attenzione costante a ciò che ci nutre veramente diventa l’opportunità di rendere sacralità al nostro corpo ed al nostro spirito.



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4 Commenti

  1. A proposito di “cucina” in senso stretto, ma così stretto da sembrare quella di Barbie, da quando ho lasciato il mio bilocale per trasferirmi in un appartamento più grande in cui abito con altre persone, la cucina è diventata una metafora perfetta di questa esperienza. C’è stata una prima fase di ambientamento scandita dai frappè, ma in seguito prendere confidenza con gli utensili, i pensili, le penisole di questa cucina ha significato conquistare autonomia e fiducia per avviare il gioco delle sperimentazioni, come lo chiami tu. Uno spazio da esplorare: imitando, inventando, collaborando, eseguendo, ma pur sempre uno spazio creativo al quale aprirsi e che mi ha regalato nuove possibilità di condivisione e consapevolezze. Ora, per esempio, so di cosa voglio nutrirmi …

    • Gentile lettrice,
      grazie per la tua condivisione e complimenti per lo humor sulla cucina “stretta”…adoro l’ironia! Hai colto molto bene lo spirito dell’articolo e credo che la cucina sia un luogo privilegiato anche per osservare ed osservarci nella relazione con noi stessi e con gli altri. Condividere quello spazio significa essere presenti alle nostre emozioni, chiederci se abbiamo voglia di condividere e con chi ne abbiamo voglia. Insomma sentire quanto siamo disposti ad aprire il nostro spazio interiore all’altro. In fondo la cucina è anche un luogo di “segreti”, quelli legati alle nostre ricette, creature della nostra più intima ispirazione…Buona Vita!

  2. Ciao, il tuo articolo mi è piaciuto molto.
    Mi rendo conto che molto spesso la cucina per me ha sfaccettature che non sono tipicamente culinarie…
    Ad esempio, per un certo periodo, il fatto di cucinare in un certo modo e di invitare gente era da me sentito come un’aspettativa che alcune persone intorno a me avevano per potermi considerare una “donna”, “brava moglie”, ecc.
    In questo modo di vivere la cucina sentivo che fosse importante produrre una grande quantità di cibo (tendenzialmente maggiore rispetto a quella che avrebbero consumato gli invitati) e che il mio compito non era di stare a tavola con gli altri a godere della loro compagnia ma di nutrirli e occuparmi di loro al 100% dimenticando i miei bisogni/piaceri in favore dei loro.
    Dopo questo periodo ho avuto una specie di rigetto per gli inviti, per il cucinare per gli altri e per ogni pratica culinaria minimamente laboriosa.
    Ultimamente sto riscoprendo un po’ alla volta il piacere di invitare, ma molto più “in scioltezza”, ad esempio mi piace molto che ogni persona invitata possa (se vuole e se la sente) occuparsi di una parte del cibo: io faccio i piatti caldi (se siamo a casa mia… non avrebbe senso scaldare qualcosa portato da fuori) qualcuno porta degli stuzzichini, qualcuno un po’ di dolce… così tutti stanno a tavola insieme, godono del cibo, del vino e della compagnia e nessuno si sobbarca troppo lavoro.
    E poi sto riscoprendo il piacere di “fare in casa” (la pizza, un dolce, ecc.)… non sempre e non solo ma, finalmente, invece di vederlo come “la schiavitù del dover cucinare” lo vedo come l’opportunità di non dover per forza comprare tutto già fatto, la possibilità di sapere cosa mangio e il modo di dar vita a qualcosa di creativo… ovviamente se e solo se “mi sento ispirata” a farlo… 😉

    • Ciao Claro,
      comprendo molto bene ciò che intendi quando, parafrasando le tue parole, ti riferisci ad una sorta di “dovere” nel cucinare e nell’ospitare persone. Mi viene in mente che mia madre, ottima cuoca tra l’altro, nelle innumerevoli cene che ha organizzato a lungo a casa nostra, e durante il tempo della preparazione delle stesse, non ha mai mostrato segni di piacere, era sempre nervosa ed agitata…eppure diceva che cucinare ed ospitare gente le piaceva tanto!!! Il punto è che per molto, troppo tempo, ho agito così anch’io e quando mi sono accorta finalmente di cosa stava succedendo ho detto “STOP”! Mi sono resa conto di due cose: una è che cucinavo razioni esagerate; due: preparavo spesso piatti per la cui preparazione era necessario che durante la cena mi assentassi dalla tavola. Et voilà: sai cos’era? La paura di “stare” veramente in compagnia, di affrontare con autenticità la conversazione con i miei ospiti, di accettare le pause durante la cena per il timore di affrontare l’imbarazzante silenzio di non sapere più cosa dire e tanto altro. E quale soluzione migliore di rimpinzare di cibo gli ospiti e di assentarmi per un legittimo “compito” culinario? Per non parlare di quel faticosissimo senso di dipendenza legato all’accettazione altrui ed al senso di riconoscimento. E’ evidente che un “brava” fa piacere a tutti ed un’aspettativa in fondo rimane sempre quando si cucina per gli altri ma poi cosa rimane?
      Io decido di nutrirmi di piacere e la cucina, per me, rappresenta lo strumento che mi aiuta a sentire ciò che è un piacere e ciò che è un dovere e questo mi allena a fare un distinguo nella vita in generale.
      Grazie, prezioso spunto il tuo 😉

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