Pescara, un luogo, una risorsa: breve conversazione con l’Architetto Carlo Pozzi

Postato da on February 16, 2014 in a casa di Lori e Giò | 0 commenti

Pescara, un luogo, una risorsa: breve conversazione con l’Architetto  Carlo Pozzi

A Pescara, la mia città, è attiva fin dal 1970 una facoltà di Architettura, che anche io ho frequentato, istituita nel 1965 come “Libera Università”, e poi statale dal 1982.

Quando mi guardo intorno, però, mi chiedo quale traccia stia lasciando questo importantissimo polo culturale e in che modo gli architetti abbiano contribuito e stiano contribuendo a dare un volto, un carattere ai luoghi della città, o quale possa essere la prima sensazione “a pelle” di un visitatore.

Certo il sito appare baciato dalla fortuna: la foce di un fiume, uno splendido mare, una cerchia collinare che ripara e movimenta, uno scenario non lontano di montagne spesso innevate che pare di poter toccare, una delle quali disegna una “Bella addormentata”! Cosa volevamo di più?

E poi, dopo la fusione, nel 1927, delle due realtà di Castellammare Adriatico e di Pescara, nel 1947 l’Arch. Luigi Piccinato elaborò un Piano di ricostruzione sulle cui premesse, nel 1956 lo stesso professionista progettò il nuovo piano regolatore della città. Ma a questo punto il piano fu totalmente rielaborato con una “variante tecnica”, voluta in seguito al cambio dell’Amministrazione cittadina, in base alla “necessità di una più intensiva utilizzazione di tutte le aree disponibili”. Certo sul Piano di Piccinato troverete esaltazioni e condanne, ma penso di poter dire che almeno partiva da una visione complessiva della città, forse mancante nella variante.

Comunque sia, sembravamo proiettati verso uno sviluppo radioso, avevamo un’ottima base. Ma oggi, quando mi guardo intorno, quando attraverso la mia riviera, il centro o la periferia mi viene da pensare che qualcosa sia andato storto. Già, ma cosa? Una visione complessiva della città? Un chiaro indirizzo di crescita? O qualcos’altro? Mi è perciò venuta voglia di sentire qualche altro parere, approfondire questa sensazione, ed allora l’idea migliore mi è sembrata quella di fare le stesse domande a qualche professore proprio di quella Università di Architettura. Come non partire dall’alto, dall’Arch. Carlo Pozzi, Direttore del “Dipartimento di Architettura”, e cioè la figura che un tempo chiamavamo Preside di Facoltà

Prof. Pozzi, può darci un suo autorevole parere?

Sui giornali locali, durante l’estate 2013, è iniziata un’inchiesta sullo stato di abbandono di molti angoli di Pescara, ancora più evidente se si allarga lo sguardo all’area metropolitana Chieti-Pescara, che vede grandi aree di dismissione post-produttiva, favelas per ora occupate solo da gatti randagi; degrado segnalato dai cittadini, proprio mentre nel centro della città fervono iniziative puramente cosmetiche: rifacimento di marciapiedi, spartitraffico, aiuole e tante fontane, qualcuna anche dignitosa.

Non si vogliono riproporre vecchie tematiche sul rapporto tra centro e periferia, proprio perché difficili ad applicarsi alla diffusione urbana medio-adriatica, di cui Pescara (e Montesilvano ancor di più) rappresenta un significativo tassello di indagine: le nuove centralità si sono spostate sugli svincoli autostradali, dagli innumerevoli Iper al recente insediamento di Ikea (con relativo sventramento di una collina).

Come non si vuole tornare sulla querelle continua sulle decisioni-spot dell’amministrazione (dalla chiusura al traffico di strade centrali – alla generica chiamata di proposte degli architetti per un improbabile teatro – alle polemiche sull’ex-Cofa, davanti al porto turistico) e le ingenti reazioni in ordine sparse dell’opposizione, dei cittadini, degli architetti e di alcuni professori dell’università.

Si vuole affermare la chance di nuove (e vecchie) centralità a partire da alcune aree residuali, solo se si riuscirà a governare le trasformazioni.

Bene, Professore, il tema delle trasformazioni mi porta un immediato collegamento al rapporto che c’è tra quelle esteriori e quelle interiori, e mi sta particolarmente a cuore, ma la città ha anche qualcosa di storico da tutelare e valorizzare?

La maggiore dote architettonica di Pescara consiste paradossalmente proprio in una disponibilità alla trasformazione, non avendo la città una opprimente presenza del passato; a parte il tridente costituito dagli edifici contenuti nella fortezza borbonica e ormai avviato a una simulazione trasteverina, solo i frammenti dei resti della città-porto romano sull’Adriatico sono in grado di rammemorare un passato ben più significativo dell’eredità dannunziana, che viene invece oggi rispolverata e sbandierata con una nostalgia che sarebbe risultata non gradita proprio al Vate che rifiutò di essere cooptato nella città natìa, respingendo bruscamente l’offerta della donazione di un cospicuo lotto fattagli dall’amministrazione comunale perché costruisse una villa nella pineta D’Avalos e tornasse a risiedere a Pescara: “non voglio doni né temporali né spirituali. Basto a me stesso e vivo dove mi piace nelle case che mi scelgo.” (R. Colapietra, Pescara 1860-1960, Costantini editore, Pescara 1980).

Ma allora da dove possiamo iniziare a trasformare?

Si tratta di una città che deve guardare necessariamente al futuro, dedita come è a cambiamenti continui, disponibile a una trasformazione che può essere “centrata” lavorando su più centri, tutti di livello “metropolitano” e capaci di restituirle quel necessario salto di scala e di valenza simbolica, che la faccia uscire dal provincialismo che la fa suddita del cosiddetto partito dei costruttori, dedito – almeno dal dopoguerra alla legge ponte e forse ora al decreto sviluppo – a costruire ogni spazio libero, e, in assenza, a sostituire qualunque palazzetto, anche se di genuina e modesta identità dell’epoca dannunziana, di quella che può essere definita l’infanzia della città.

Per nuove centralità si intendono quelle aree la cui rigenerazione unitaria può costituire una ripartenza per il settore urbano che le comprende.

Ogni area indicata porta con sé dei link preziosi con il contesto in cui è insediata o con l’immaginario costituito nel dibattito urbano che recentemente ha invaso i giornali locali. Aree preziose per la dinamica urbana e che quindi non possono essere lasciate al migliore offerente del capitale nostrano o all’archi-star di turno.

Avrebbe qualche proposta concreta?

Il procedimento che va messo in campo, per affrontare spazi di grande complessità urbana, non può che essere complesso e prevedere passaggi consequenziali, con tempi necessari ma contingentati, che vedano una cooperazione stretta tra Amministrazione, Università, associazioni operanti sul territorio, Ordini Professionali nonché i cosiddetti stake-holders – gli operatori economici, i gestori delle reti e in generale tutti i cittadini interessati alle trasformazioni in atto.

Mi pare che Lei si sia già speso in questo senso…….

Nel 2003 ho curato con Rosario Pavia un numero monografico della rivista di Bruno Zevi “L’architettura. Cronache e storia” su “Pescara e l’area metropolitana”: il mio saggio, che tentava la riscoperta di gioielli architettonici sopraffatti dalla grande marmellata urbana colata sulla costa adriatica dalla Legge Ponte in poi, si concludeva con il grido di dolore legato all’assoluta mancanza di una idea di città che potesse sovraintendere alle operazioni a scala urbana che rischiavano invece di risolversi in un metodico e definitivo “tappabuchi” (quello che gli ecologisti liquidano forse un po’ semplicisticamente come “cementificazione”). E’ andata proprio così! Cominciano a mancare spazi liberi per l’edificazione e si è passato quindi alla progressiva demolizione di preesistenze, con il rischio di perdita della già poca identità della città.

E allora, questa Università come può collaborare attivamente?

Dalla cooperazione scientifica tra Dipartimento di Architettura, Ordine degli Architetti, INU, SIU e Amministrazione Comunale è già nato un Laboratorio Urbano, dal cui lavoro dovrebbe uscire una proposta di idea di città, fondata su alcuni punti inderogabili:

  1. Città eco-sostenibile, investendo innanzitutto sulla mobilità alternativa, dalla “Strada Parco” con un percorso mirato al mettere in rete i vari frammenti di piste ciclopedonali;
  2. Città nel paesaggio: una nuova sensibilità di ritorno dalla natura al ruolo di componente urbana; dagli orti, alla fito-depurazione, ad un nuovo ruolo per il fiume, al dare spazio al Pino di Alepp (geografia urbana prima della cementificazione) tutelando il parco nord;
  3. Città di mare: l’idea di Piccinato di una densità più alta verso l’interno a scalare verso la linea di costa;
  4. Città dei cittadini: nuovi ruoli contemporanei dei “vuoti” esistenti e da creare per spazi pubblici capaci di rappresentare la città metropolitana;
  5. Città condivisa: l’esperienza dei “tavoli”, l’unico modo per non assistere a battaglie “contro”.

Mentre lo ringrazio davvero per la sua cortesia, il professore, per concludere, riporta un’altra citazione, ancora di D’Annunzio, tratta da Novelle de la Pescara:

Erano i giorni primi di giugno: sorgeva l’estate della primavera, come da un campo d’erbe un àloe. Tra il mare e il fiume tutto il paese di Pescara godeva nella ventilazione salina e nel refrigerio fluviale, come distendendo le braccia verso quei naturali confini d’acqua amara e d’acqua dolce”.

Anche queste frasi mi confermano che questo luogo porta enormi risorse ancora da sfruttare e mi fanno pensare di aver in qualche modo ragione, ma voi, come la pensate?

 Giorgio Caizzi



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