Spostare lo sguardo

Postato da on June 16, 2013 in a casa di Lori e Giò | 0 commenti

Spostare lo sguardo

Quando frequentavo l’Università c’era un corso gestito da un professore anziano al limite della pensione … era un corso che si intitolava “Disegno e Rilievo”.

Il corso si teneva in un antico palazzo nel centro storico di Roma, in un’aula polverosa a cui si arrivava percorrendo  un lungo corridoio buio… A quel tempo i computer erano macchine enormi e complicatissime da usare e i nostri lavori erano disegnati tutti a mano. Lunghe giornate e lunghe notti sui tavoli da disegno a progettare edifici improbabili correndo rischi di distruzione da parte di tazzine di caffè … ore di lavoro vanificate da una movimento sbadato!!!

Il professore sembrava un vecchio saggio, alto, curvo, esile e bianco. Era evidente che amava la sua arte e cercava di trasmettere a noi studenti frettolosi la sua passione per la città, e che città… Roma!

Eravamo in pochissimi a seguire quel corso, molti di noi avevano scelto professori giovani,  a volte poco più anziani di noi studenti, che portavano avanti programmi basati su nuove tecnologie e tecniche innovative …

Non so perché quel vecchio saggio mi aveva affascinata … Parlava di sguardo sulla città.

Ci raccomandava di girare per il centro di Roma senza curarci di capire dove si andava e cosa si sfiorava con  gli occhi,  ma facendoci portare solo dalle nostre emozioni, dai particolari, dalle sensazioni che la città ci rimandava.  Quello che ci chiedeva era che portassimo con noi un blocco per schizzare ciò che ci colpiva, un elemento architettonico, un particolare che destasse il nostro interesse … senza troppe domande,  facendoci portare per mano solo dall’ intuizione del momento.

Fu così che cominciai a girare per Roma con una buona motivazione per non avere fretta e  con un blocco e una matita.

Per la verità non è che avessi compreso appieno, ma  decisi di non fare ,come mio solito, tante domande,  e di cominciare da ciò che conoscevo.

E  quindi, passando  per strade e vicoli percorsi  ogni giorno per raggiungere la facoltà di  Architettura,  mi trovai a scoprire  nuovi particolari. Portoni, finestre, cornicioni e fiori… fili di panni stesi… tutte cose  su cui il mio sguardo non si era mai soffermato… su cui la fretta di arrivare a lezione in tempo per occupare un buon posto, non mi aveva mai concesso di posare  gli occhi.

E fu una scoperta.

Tutto appariva diverso, la città non era più la stessa… acquistava una nuova dimensione, una nuova prospettiva.  A volte più intima e accogliente,  a volte respingente e scomoda.  Finestre, case, abitazioni e persone… meraviglie di epoche diverse, sovrapposte o appena visibili… non del tutto cancellate.

Quasi un rapporto empatico con la strada, i palazzi e l’umanità che li abitava, tutto ciò che rendeva la città viva,  in continua trasformazione, come un essere dotato di respiro.

Roma si lasciava guardare e scoprire nella sua intimità.

Col tempo ho compreso perché quell’ esperienza mi abbia così colpita e sia rimasta indelebile nella mia memoria.

Avevo spostato il mio punto di vista.

Ero stata costretta a soffermarmi, a stare con ciò che faceva parte del mio quotidiano ma mai approfondito. Davo attenzione a ciò che era fuori dal mio raggio visivo abituale, lontano da certezze ma anche limiti che impedivano di godere di quello che era vicino, ma mai sfiorato da uno sguardo consapevole.

Spostare lo sguardo e scoprire che la città non era fatta solo di quello che i miei occhi vedevano fuggevolmente ogni giorno,  ma anche di altro… che bastava alzare gli occhi per accorgersi di particolari diversi… di esistenze diverse dalla mia.

Molto tempo dopo mi sono resa conto che quel lavoro è stato l’inizio di una nuova consapevolezza, che  ciò percepivo all’ esterno di me non era diverso da quello che avrei potuto scoprire dentro, nella mia interiorità se solo avessi cominciato a spostare lo sguardo  da ciò immediatamente visibile a ciò che è più nascosto, che ha solo bisogno di essere  guardato per rendersi visibile.

Spesso lasciamo che siano  i limiti della quotidianità e degli schemi abituali a dare colore alla nostra vita. Lasciamo che tutto ciò che ci appare esterno e lontano ci faccia paura, temiamo che fermandoci a guardare  possiamo allontanarci  dalle nostre certezze e dalle nostre comode scomodità.

Ma  che meraviglia quando riusciamo a spostarci da quel modo solito e abituale  di guardare le cose, a togliere per un attimo gli occhiali che sin da bambini abbiamo messo davanti ai nostri occhi, che ci hanno portati ad avere la  nostra personale visione delle cose, delle persone… dei colori… 

E’  allora che scopriamo che  i colori e i punti di osservazione sono tanti, pieni di sfumature, a volte belle e a volte meno, e che possiamo fare un lavoro in aggiunta, possiamo rendere il nostro ventaglio di sfumature interiori ancora più ricco e nutriente.

Dimenticavo… L’anno dopo tornai a cercare in quell’aula polverosa il vecchio professore, ma lui non era più lì,  al posto del suo c’era un nuovo corso condotto da un giovane assistente.

Il custode mi  disse che era andato in pensione.

… Allora voglio farlo adesso …

Grazie vecchio saggio… ovunque tu sia.

Loredana Spro



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