Tre minuti per un’eternità

Postato da on March 6, 2013 in eso-pensieri | 2 commenti

Tre minuti per un’eternità

Vedevo quel corpo inerte scendere verso il fondo del mare con un misto di indifferenza e sorpresa. Indifferenza perché sentivo che tutto sommato non era poi così importante. Sorpresa perché in fin dei conti quello era il mio corpo, o almeno l’unico corpo che credevo di avere. Ricordo bene che poco prima di “uscirne” fuori, invece che dalla paura della morte imminente, la mia mente avevo avuto un pensiero quasi ridicolo. “Che strano”, pensai, “queste cose di solito succedono solo nei film”. Tuttavia quello che stava accadendo era reale e se di lì a poco non fosse intervenuto qualcuno a tirarmi fuori dall’acqua, questo articolo non sarebbe mai stato scritto.

Sospeso nell’acqua a decine di metri dalla riva qualcosa di “me” osservava il mio corpo dall’esterno. La sensazione che provavo in quel momento è difficilmente descrivibile. Pienezza, serenità completa ed un profondo benessere sono le parole umane che più si avvicinano a quel particolare stato di grazia che stavo provando. A quel punto qualcosa aveva attratto la mia attenzione distogliendo il mio “sguardo” dal corpo che affondava. Da sopra il pelo dell’acqua, lì dove avrebbe dovuto trovarsi il sole, vedevo una luce diversa, particolarmente forte ed intensa, di colore bianco. Oltre alla luce avvertivo anche che da quella parte proveniva una sensazione di amore e sentivo che quel punto luminoso ne era in qualche modo la sorgente.

Poco dopo mi ritrovo sugli scogli, “cosciente”, con il bagnino che tenta di farmi riprendere e poi di corsa in ospedale. Qualcuno mi disse che ero rimasto sott’acqua per tre minuti anche se l’impressione che avevo avuto era quella di esserci stato “un’eternità”, nel senso che in quel momento il tempo sembrava essere “assente”. Chiaramente ero profondamente scosso da quanto mi era accaduto ma la sensazione di pace in qualche modo era rimasta con me e riesco ancora ad avvertirla nonostante siano passati ormai più di venti anni dall’accadimento. Certo gli scettici diranno che la mancanza di ossigeno provoca allucinazioni, ma se così dovesse essere non si spiega perché molti dei soggetti che hanno avuto un’esperienza di premorte, o, come oggi si preferisce chiamarla di N.D.E., riportino le stesse sensazioni e circa le stesse descrizioni.

Sono molti gli studiosi che hanno affrontato questo fenomeno cercando di comprenderne la natura. Tra loro volevo citarne due, Elizabeth Kubler-Ross, una psichiatra il cui pionieristico lavoro con i pazienti terminali è ancora oggi considerato fondamentale nella psicotanatologia e Marie – Louise von Franz, stretta collaboratrice di Jung e autrice dell’importantissimo testo “La morte e i sogni”. Entrambe queste donne hanno affrontato la questione della morte, la prima da un punto di vista della psicologia “cosciente”, la seconda nell’ottica dell’inconscio.

Riporto a titolo d’esempio un caso di N.D.E. che la Kubler-Ross cita in uno dei suoi libri e che riguarda un uomo che, avendo perso l’intera famiglia in un incidente mentre lui era al lavoro, aveva passato gli ultimi due anni da vagabondo tentando il suicidio diverse volte:

“[…] ricordava di essersi trovato ai bordi di una foresta lungo una strada sporca, ubriaco come al solito e solo, desideroso di riunirsi alla sua famiglia, quando un grosso camion sopraggiunse e gli passò letteralmente sopra. Fu in quell’attimo che egli si vide gravemente ferito sulla strada, a osservare la scena dell’incidente dall’altezza di qualche metro. E nello stesso istante la sua intera famiglia gli apparve in un bagliore di luce: nei loro sorrisi c’era un incredibile amore […]. L’uomo non ci seppe dire quanto tempo durò quella sua riunione di famiglia. Dopo […] vide il camionista trasportare il suo corpo, vide l’ambulanza, si vide portare al reparto rianimazione dell’ospedale e deporre su una barella. E fu in rianimazione che rientrò finalmente nel suo corpo […].1

Esiste una vastissima raccolta di casistiche simili in merito alle dinamiche delle N.D.E.. Tra le più interessanti, nell’ottica della dimostrazione di un’esistenza post mortem, vanno senz’altro annoverate quelle delle persone non vedenti le quali, una volta “distaccatesi” dal corpo materiale, riferiscono con dovizia di particolari persone, oggetti e colori coinvolti nelle loro esperienze di quasi morte.

Il mondo dei sogni invece, sembra utilizzare forme più “poetiche” per parlare della fine della vita e della sua continuazione. La von Franz ha raccolto e commentato sogni di persone morenti, lasciandoci in eredità dei “gioielli” onirici come il seguente:

Vedevo un campo di grano verde, non molto alto e non ancora maturo. Nel campo aveva fatto irruzione una mandria di buoi, calpestando e rovinando ogni cosa. Si era poi udita una voce dall’alto, che diceva: tutto sembra distrutto, ma dalle radici sotto la terra il grano tornerà a crescere”. 2

In maniera del tutto simile, il prolungarsi della vita oltre la morte ed il concetto di rinascita nell’antico Egitto veniva simboleggiato attraverso il rituale dell’”Osiride verde”. Tutti gli anni, nella terra dei faraoni, erano infatti approntati dei piccoli appezzamenti di terra nei quali venivano piantati dei semi in modo tale che i germogli appena spuntati formassero l’immagine del Dio Osiride, il quale in questo modo tornava letteralmente a risorgere dalla terra.

Cos’è dunque la morte? E’ lecito che ci faccia così paura? Non so dare una risposta a questa domanda ma vorrei concludere l’articolo con una nota di speranza, citando un altro “gioiello” raccolto dalla von Franz:

“Vedo un cero acceso sul davanzale della mia camera d’ospedale, e a un tratto mi accorgo che sta per spegnersi. Mi sento allora invadere dalla paura e dall’angoscia di fronte alla grande oscurità che si avvicina. Ma improvvisamente lo stesso cero torna a brillare dall’altra parte della finestra, e a quel punto mi sveglio”. 3



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Note:

  1. E. K. Ross, “La morte e la vita dopo la morte”, Ed. Mediterranee, Roma, 2007, pp. 71, 72.
  2. Marie-Luoise von Franz, “La morte e i sogni”, Ed. Boringhieri, Torino, 1986, pg. 35.
  3. Marie-Luoise von Franz, “La morte e i sogni”, Ed. Boringhieri, Torino, 1986, pg. 75.

2 Commenti

  1. so bene cosa vuol dire quella sensazione è la stessa che ho provato anch’io…per anni ho avuto timore di parlarne perchè mi avrebbero dato della pazza…finchè non ho scoperto di non essere stata la sola ed aver conosciuto altri come me e te che hanno avuto esperienze simili …Grazie di questa tua testimonianza.

    • E’ un piacere Giancarla. Aprirsi rispetto a questi argomenti serve proprio, come giustamente noti, per comprendere che non siamo “soli” e questo senz’altro ci aiuta a sentirci meglio… Un caro abbraccio :-)

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