Cohousing: nuove possibilità abitative per vivere condividendo
“NON SI PUO’ PENSARE ALL’ARCHITETTURA SENZA PENSARE ALLA GENTE”
Richard Rogers, architetto
Cohousing, letteralmente coabitare, condividere spazi abitativi… da qualche tempo se ne sente parlare sempre più spesso.
Motivazioni economiche e necessità di occupare sempre meno il territorio inducono a realizzare appartamenti sempre più piccoli; le famiglie hanno a disposizione sempre meno spazi, i costi, sia di costruzione che di gestione, sono molto alti e specialmente per i giovani i single e gli anziani mantenere un abitazione può essere troppo oneroso.
Si sente quindi la necessità in campo edilizio e sociale di risposte innovative, che prendendo spunto dalle difficoltà dovute alla crisi economica creino nuove opportunità d’intervento.
Come abbiamo detto già altre volte, dalle difficoltà nuove opportunità.
Una delle risposte è il Cohousing.
Ma cos’è il cohousing?
Il Cohousing nasce in Scandinavia negli anni ’60; dalla penisola Scandinava si è poi diffuso in Olanda, Inghilterra, Stati Uniti e Giappone. Ora, lentamente, sta approdando anche qui in Italia dove è ancora in fase sperimentale.
Il modello tipico consiste in un nucleo di 20 – 40 unità abitative; nelle aree rurali si sviluppano in piccoli villaggi, mentre in città sono prevalentemente edifici unici e sempre con un pensiero al risparmio sia economico che del territorio, spesso si preferisce ristrutturare edifici già esistenti piuttosto che costruirne di nuovi.
Le persone che decidono di dare vita a un cohousing si scelgono tra loro in base ad obiettivi comuni. Vogliono stare insieme e condividere gli spazi, in modo da ridurre quelli privati a vantaggio di quelli comuni, e dare quindi vita ad una rete sociale.
L’idea è quella di attivare all’interno della struttura dei servizi condivisi secondo i principi della “banca del tempo”. Ognuno mette a disposizione, per quello che può, tempo e competenze… può esserci chi si occupa dei bambini, offrendo un servizio di baby-sitting, oppure chi provvede alla spesa quotidiana e, nel caso ci fosse una cucina comune, c’è chi si occupa della preparazione dei cibi… così via a seconda delle necessità e delle esigenze di ogni gruppo.
Si possono poi condividere spazi come la lavanderia o la stireria o la biblioteca in modo che ogni individuo abbia a disposizione servizi che presi singolarmente avrebbero dei costi alti e una minore efficienza.
Tutto questo consente di contare sull’appoggio dei vicini, di aumentare le relazioni interpersonali, che nelle nostre città sono sempre più rare, e anche di migliorare il livello della sicurezza personale e della protezione.
La gestione centralizzata degli impianti permette un notevole risparmio economico riducendo il livello dei consumi, dato che le nuove tecnologie consentono poi di contabilizzare autonomamente i consumi di ognuno.
Tutto ciò che è di uso comune viene amministrato direttamente dagli abitanti …
”L’unione fa la forza”
E’ considerevole il risparmio economico che si ha anche in fase di acquisto del terreno o di un immobile da ristrutturare perché il costo unitario, euro/mq, diminuisce all’aumentare delle dimensioni, così come aumenta il potere contrattuale nell’acquisto di materiali e quindi la possibilità di utilizzare quelli ecologici, i cui costi sono ancora leggermente superiori.
I futuri abitanti partecipano attivamente alla progettazione delle abitazioni insieme ai progettisti e scelgono con loro sia gli spazi da mettere a disposizione della comunità, ma principalmente le modalità di gestione degli spazi, in modo da assicurare l’individualità della propria abitazione e garantire la privacy individuale ed i propri tempi di vita.
Ogni Cohousing avrà quindi una propria personalità che rispecchierà le esigenze e le necessità del gruppo di persone che lo abita.
E’ fondamentale che sin dai primi momenti la progettazione della struttura risponda ai principi della progettazione partecipata; abitanti e progettisti decidono insieme di dare vita al cohousing nel rispetto totale di ognuno senza regole fisse e con grande flessibilità.
La persona è al centro di ogni decisione in modo che tutto avvenga nel rispetto dei bisogni di ognuno e in base al consenso di tutti.
È evidente che per rendere attuabile un simile progetto è fondamentale che vi siano, oltre alla volontà di risparmiare, il rispetto di se e degli altri, un grande spirito di mediazione, tolleranza, regole chiare, e non ultima, una forte volontà di gestire in modo pacifico le difficoltà che possono subentrare nel corso della progettazione e della realizzazione della struttura.
La comunicazione ecologica e la ricerca della mediazione sono quindi fondamentali per trovare insieme soluzioni efficaci.
Nonostante tutte le migliori intenzioni i conflitti dovuti ad una non buona comunicazione sono sempre possibili, sappiamo che in Italia e nel mondo molti progetti di cohousing non sono riusciti proprio perché i gruppi non hanno trovato una soluzione comune alle varie esigenze dei partecipanti.
Quindi, se la possibilità di vivere in un Cohousing desta il vostro interesse, prima di tutto guardatevi intorno, individuate tra le persone che conoscete chi potrebbe essere interessato a portare avanti insieme a voi un simile progetto. E’ necessario che siano persone che abbiano prima di tutto la voglia di stare insieme e un approccio psicologico portato alla collaborazione e alla solidarietà e che magari non vogliano o non abbiano la possibilità di investire molte risorse economiche nell’abitazione.
Cercate un progettista o, meglio ancora, un gruppo di progettazione che vi segua e vi aiuti a portare a termine il progetto in modo partecipato risolvendo tutte le incombenze di carattere tecnico, amministrativo e burocratico. Attualmente molti Architetti sono interessati a simili progetti innovativi.
E’ poi fondamentale, per garantire la riuscita di un simile progetto abitativo, la presenza di un facilitatore, meglio ancora se è un Counselor che, con la sua preparazione e professionalità specifica nella mediazione e nella ricerca di soluzioni ai conflitti, aumenti la possibilità di riuscita del progetto abitativo, che intervenga anche in seguito, durante la vita della comunità, per aiutare a gestire e risolvere tutte quelle piccole difficoltà che potrebbero, nel tempo, portare squilibrio al Cohousing.
Il Counselor è una figura professionale le cui competenze sono da molti anni conosciute in tutta Europa e Negli Stati Uniti e dallo scorso febbraio la professione è riconosciuta anche dallo Stato Italiano.
E’ un professionista che attraverso un percorso personale e di studi ha acquisito competenze che gli permettono di intervenire a sostegno della persona, della famiglia e e dell’azienda, ovunque se ne senta la necessità, e che aiuta ad avere una visione propria e allargata a tutti i punti di vista.
In particolare il Counselor preparato nella scuola di Counseling e Media Comunicazione Avalon di Pescara, diretta dalla dottoressa Zuleika Fusco, ha acquisito competenze nel campo del sociale della psicologia e delle scienze umane attraverso un approccio umanistico e olistico che gli consente di intervenire nella gestione e risoluzione pacifica del conflitto, guidare nella bilanciatura del se per la trasformare il disagio in nuove opportunità di crescita e di armonia.
La persona al centro.









Ciao!
Ci ho provato col cohousing ma non c’è l’ho fatta! Come mai?
Secondo me, al di là delle difficoltà pratiche legate al momento economico, ci sono stati alcuni “nodi” che voi evidenziate bene e che invece nel gruppo di cui ho fatto parte non erano chiari/evidenti e lasciavano spazio ad aspettative non espresse e a troppi sottintesi.
“Le persone che decidono di dare vita a un cohousing si scelgono tra loro in base ad obiettivi comuni.”
Dal mio punto di vista nel nostro gruppo si è confuso “obbiettivi” con “ideali”… cioè: ok tutti d’accordo sull’eco-sostenibilità, sulla “cittadinaza attiva”, ecc. ma… le famiglie con figli hanno “bisogni primari” ben precisi e ben diversi dal giovane musicista e inoltre qualcuno aveva “ambizioni rurali” (coltivare, tenere animali, ecc.) e qualcuno no. Si è spesso dato per scontato che “se ci sono gli stessi Grandi Ideali e la buona volontà le differenze quotidiane si appianeranno”, per la mia esperienza è vero il contrario: se ti incontri nella quotidianità e trovi il modo di renderla più facile da gestire poi possiamo anche parlare di Grandi Ideali (per la serie: è difficile filosofeggiare/pregare a pancia vuota).
“I futuri abitanti partecipano attivamente alla progettazione delle abitazioni insieme ai progettisti…E’ fondamentale che sin dai primi momenti la progettazione della struttura risponda ai principi della progettazione partecipata”
Il nostro progetto era già pronto nelle sue linee fondamentali: aderire o non aderire.
“E’ necessario che siano persone che abbiano prima di tutto la voglia di stare insieme e un approccio psicologico portato alla collaborazione e alla solidarietà e che magari non vogliano o non abbiano la possibilità di investire molte risorse economiche nell’abitazione.”
Su questi punti bisogna stare attenti a non scivolare nella demagogia ( e noi scivolammo, a mio avviso…) vero la voglia di stare insieme e la predisposizione alla collaborazione/solidarietà, ma un indeterminato “volemmose bene” e/o un frainteso senso cattolico di “accoglienza e carità” potrebbero nascondere le criticità e non aiutare a risolverle. Stessa cosa sulla questione economica: va bene avere poco da spendere ma non si può pensare che nel gruppo ci sia chi fa da garante per tutti o chi copre le spese anche per chi non può. Molto “caritatevole” ma alla lunga affondiamo tutti…
Troppo cinica?
Per tutti questi motivi, d’accordissimo che servono la partecipazione, la collaborazione e il counselor 😉
Sicuramente miscelando bene gli elementi il cohousing è un’esperienza che vale la pena di fare.
Grazie per lo spunto di riflessione che mi avete dato
Ciao ClaRo, innanzi tutto grazie per il tuo intervento puntuale ed accurato. Siamo pienamente d’accordo con quello che dici… Il Cohousing è sicuramente un progetto impegnativo che richiede determinazione e buona volontà da parte dei partecipanti. Le premesse devono essere chiare sin dall’inizio e la progettazione deve essere partecipata… Il gruppo di Cohousing dovrebbe essere seguito sin dai primi passi, dalla progettazione dell’edificio, perché è fondamentale che lo stesso edificio rispecchi le caratteristiche e le esigenze del gruppo. Dal momento che si costituisce il Cohousing assume una personalità che va rispettata nel progetto… L’edificio per forza di cose assumerà l’immagine di quel gruppo ( ricordiamo che la casa è l’immagine di chi la abita) e non può essere pre-confezionato. E’ naturale che sorgano delle difficoltà comunicative, anche quelli che sembrano degli ottimi propositi possano rivelarsi portatori di difficoltà e devono essere mediati dall’intervento di un Counselor. Comunque ci pare di sentire ancora dell’entusiasmo nelle tue parole per cui, chissà…. Un abbraccio