Un gatto di nome Gigia: esperienza in hospice
Come ho detto più volte questa rubrica si occupa non solo di nutrizione in senso stretto ma di tutto ciò che è possibile assimilare nella quotidianità in riferimento alle esperienze di vita più svariate.
Scrivo questo articolo in un momento di vita molto particolare. Ho perso da pochi giorni la mia mamma e voglio approfittare di questo momento così intenso per lanciare un messaggio importante a chi, come me ed i miei familiari ma anche a chi lavora nella relazione di aiuto, si trova a prendere contatto con la sofferenza di chi si dirige verso la morte del corpo fisico, paziente o familiare che sia.
Il percorso di accompagnamento alla morte dovrebbe essere sicuramente approfondito affinché ognuno di noi possa arrivare, non dico pronto perché non lo si è mai, ma quantomeno “preparato” ad un passaggio che prima o poi si dovrà affrontare. La morte, in realtà, è l’ultimo gradino di una scala che spesso è attraversata da un periodo più o meno lungo di sofferenza. Parlo, perlomeno, delle situazioni in cui uno stato di malattia perdura nel tempo. Vi posso assicurare che ci sono dei momenti molto critici: la persona malata si trova a vivere in condizioni molto sofferenti e i familiari che la assistono spesso vivono una sensazione di totale impotenza. Sono situazioni complesse nelle quali i bisogni sanitari si intrecciano con quelli emotivi, assistenziali, relazionali. Ho assistito in ospedale a scene nelle quali mia madre ringraziava gli infermieri per qualsiasi cosa e raramente riceveva uno sguardo di assenso, un sorriso ristoratore. Ho visto professionisti della cura schermarsi con lo scudo dell’indifferenza, nascondendosi dietro l’alibi delle poche risorse per giustificare la scarsa attenzione umana. Anch’io lavoro nella relazione di aiuto, anch’io fronteggio la scarsità delle risorse e capisco quanto questo possa incidere sul benessere del lavoratore ma non può e non deve essere tutto riconducibile a questo. Ricordiamoci sempre che di fronte a noi c’è una PERSONA, non è necessaria una quantità di tempo abnorme per incontrare il suo sguardo e accennare un sorriso, magari mentre si inserisce un ago per l’ennesima flebo del giorno…
Tutt’altro ambiente è quello dell’ hospice…l’hospice è una struttura residenziale socio-sanitaria con elevata intensità assistenziale e competenze specialistiche. E’ un contesto dedicato a coloro che necessitano di cure palliative, ossia, secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della Sanità di cure che ” si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte”. Uno degli obiettivi principali dell’equipe multidisciplinare che opera all’interno di questo contesto, è il raggiungimento della migliore qualità di vita dei pazienti ( e in un certo senso dei loro familiari). Capite bene quanto sia ancor più delicato l’approccio di questa realtà.
Durante la degenza i professionisti dell’hospice hanno saputo dare sollievo a mia madre ed alla mia famiglia in un modo molto amorevole e professionale al tempo stesso. Pur avendo la possibilità di usufruire di un sostegno psicologico all’interno della struttura, il sollievo è derivato da attenzioni molto più semplici: una carezza degli infermieri, una parola amorevole del medico, un sorriso di un operatore e…la presenza di Gigia, la gatta dell’hospice. E sì, è proprio così. L’hospice di Torrevecchia Teatina (CH) offre la magnifica presenza di Gigia, una felina speciale che girovaga, non a caso, per le stanze dei pazienti ed offre una presenza importante a chi ha il cuore di sentire oltre le apparenze. Non scorderò mai che nei giorni di degenza di mia madre, Gigia ha sentito la necessità di entrare nella stanza di mamma solo quando si è aggravata. Ha passato la notte di Halloween dormendo sulla poltrona e vegliando su di noi ed è tornata lì quando mia madre è “volata via”. Approfitto di questo articolo per ringraziare Gigia e tutto il personale dell’hospice e per lanciare un appello a tutti coloro che nei vari contesti della relazione di aiuto, si occupano inevitabilmente di chi è in una situazione di vulnerabilità: abbiate il coraggio di sentire la vulnerabilità, altrui e vostra, aprite il Cuore senza temere di essere sopraffatti né tantomeno di dover rinunciare alla vostra professionalità. Accarezzate i pazienti, sorridete loro, basta poco per dare sollievo ad un’Anima sofferente, abbiate compassione, riconoscete dignità oltre la malattia. FATE LA DIFFERENZA…Il dono che ne riceverete? Semplice: sarete curati da chi curate.
Grazie ancora a tutti i professionisti dell’hospice, abbiate sempre il coraggio di accarezzare la morte per rendere sacra la vita…GRAZIE!
Rispetto a quanto detto mi permetto di segnalare il MASTER che organizza Avalon Formazione. Ho visto molte persone fare la differenza nel proprio lavoro di cura grazie al percorso offerto da Avalon Formazione. Invito tutti coloro che sentono di voler fare una differenza nella propria vita e nel proprio lavoro dando VALORE al proprio “essere”, a prendere visione di questo percorso collegandosi al seguente link: https://www.centroavalon.it/scuola.html









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