Ti ascolto, progettiamo insieme?
Carl Rogers, psicologo statunitense diceva:
“E’ sbalorditivo come certe cose che sembrano insolubili diventano solubili se qualcuno ti ascolta, come una confusione che sembra irrimediabile si trasforma in un flusso che scorre con relativa limpidezza. Ho apprezzato profondamente le volte in cui ho sperimentato questo tipo di ascolto sensibile, empatico, concentrato.”
Nel nostro studio di architettura abbiamo visto passare tante persone… persone che volevano una casa bella perchè gli amici e i parenti l’avevano, e con la casa volevano sottolineare il loro stato sociale… persone che volevano cambiare qualcosa ma non si sentivano in grado di farlo da soli… persone che avevano tanti soldi da spendere e altri che ne avevano pochi.
A volte è successo che chi si sia avvicinato a noi perché risolvessimo problematiche più che altro tecniche o burocratiche, faccende di condono o di catasto, conoscendoci meglio si sia fatto anche aiutare per delle cose più “intime” come l’arredamento o la disposizione degli spazi del proprio appartamento. Altre volte ancora abbiamo avuto a che fare con clienti provenienti da esperienze con altri professionisti, con una casa bellissima e corrispondente a tutti i canoni della moda del momento, in cui vi erano oggetti stupendi disegnati da grandi architetti come Le Courbusier o Alvar Aalto, ma che in quella casa non si sentivano a loro agio, forse perché l’ambiente era progettato secondo la cultura del famoso architetto che aveva curato l’arredamento, e non quella del cliente che non era educato a comprenderla. Per loro era stato come mettersi addosso un vestito firmato ma di una taglia sbagliata. Non era il loro vestito… forse era il vestito dell’architetto?
Andare dall’architetto è un po’ come andare dal medico, mette un po’ a disagio, perché un po’ ci si mette a nudo, come se si dovesse mostrare ad un estraneo quel lato di noi che teniamo ben nascosto, i nostri segreti, perché tutti abbiamo la percezione che l’argomento che tratteremo andrà oltre i semplici spazi da arredare, parleremo di noi stessi.
E’ importante che chi va dall’architetto abbia davanti qualcuno disposto ad offrire, oltre alle competenze tecniche, anche ascolto, qualcuno da cui non ci si senta giudicati se non si hanno molti soldi o se non si comprendono le scelte dei cosiddetti “Archistar”. Qualcuno che abbia la percezione di quali siano i limiti da non valicare e veda quel che è lecito fare e quel che è bene lasciar fare, che accompagni nell’ entusiasmo di realizzare i propri sogni.
La buona comunicazione riguarda il nostro vivere quotidiano, il nostro essere nella vita e con chi ci circonda. Accogliere l’altro cominciando col donargli parte del nostro tempo e la nostra attenzione, è un dono che facciamo a noi stessi. Chi ci è davanti rappresenta una parte di noi e ascoltandolo e accudendolo diamo ascolto al nostro essere interiore.
Daniel Goleman, psicologo e giornalista statunitense, ci parla dagli anni ’90, di Intelligenza emotiva , ovvero di un modo alternativo di essere intelligenti, utile alla vita pratica, dove il quoziente intellettivo in senso stretto e gli studi effettuati contano relativamente. Usare l’intelligenza emotiva significa saper entrare in comunicazione attraverso un rapporto empatico che ci consenta di sentire intimamente lo stato d’animo e le emozioni di chi è davanti a noi.
Nella libera professione, e non solo quella dell’architetto, è facile credere che avere le competenze metta nella condizione di sapere cosa è meglio, e forse quello che occorre è un atto di umiltà che riporti alla consapevolezza di avere davanti una persona con le sue esigenze e la sua cultura, che può essere diversa dalla nostra e che va comunque rispettata. Quando ciò si realizza il risultato è armonico, è l’integrazione tra due esperienze di vita e questo non può che arricchire entrambi.
La persona va messa al centro, al centro del progetto architettonico, che è poi anche un progetto di vita, va accompagnata nella scoperta dei suoi personali spazi, che siano suoi, in cui si rispecchi con le sue caratteristiche, la sua storia personale e i suoi bisogni. Perché essere in armonia con la propria casa ha qualcosa a che fare con la felicità.
Queste sono delle buone motivazioni per decidere che sì, vado dall’ achitetto.
La casa è il luogo dell’anima, il luogo dove ci sentiamo accolti e protetti.
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