Giocare e mettersi in gioco

Fino a qualche giorno fa la mia intenzione era scrivere riguardo il gioco e la sua relazione con la creatività, l’immaginazione e la parte analogica in noi. L’idea mi piace e di certo lo farò prossimamente… Nel frattempo ho trascorso qualche ora con un nipotino di sette anni, ritrovandomi sul divano di casa a giocare “a pallavolo”, con un piccolo cuscino spiegazzato. 

Rimanendo semi sdraiati, ci tiravamo il cuscino con l’unica regola di non lasciare cadere a terra la nostra “palla”, facendo movimenti maldestri e commenti reciproci e cercando di resistere quanto più possibile. Dopo pochi minuti, ho notato le nostre risate in crescendo.

Come in molte altre occasioni, ho colto con piacere la leggerezza e la spensieratezza che quasi immediatamente il gioco può farci sperimentare, ma solo se ci consentiamo davvero di giocare…

Intendo che può essere necessario spostarsi un po’ dai nostri comportamenti ordinari, per entrare in una sfera di attività con finalità tutte proprie, quella che il bambino spesso definisce “fare finta” o “fare x scherzo”, dove consentirci esperienze che solitamente non fanno parte della nostra quotidianità di adulti.

Noto frequentemente come per molti di noi può essere difficoltoso entrare in quell’atteggiamento, dove dovrebbero coesistere la totalità della nostra presenza, il necessario rispetto delle regole e la libertà di esprimerci (tanto è un gioco…). Trovo che il gioco richieda infatti la capacità di essere nel “qui ed ora” quanto più possibile.

A proposito di questa difficoltà, ho pensato ad alcuni modi in cui la parola “gioco” entra nel linguaggio degli adulti evocando altro, ed ho iniziato a riflettere sull’espressione “mettersi in gioco”.

Di come ci racconti della necessità di attivarci, di interrompere una condizione di stasi a volte insoddisfacente, e magari rompere degli schemi che ci appartengono da tempo o abitudini che fanno parte del nostro vivere quotidiano che potrebbero ormai essere limitanti, o non più funzionali al momento di vita presente.

Credo che abbia molto a che fare con la disponibilità. Per metterci in gioco occorre renderci disponibili ad accogliere novità e situazioni diverse, ma direi anche punti di vista non soliti.

Disposti a mostrare più autenticamente il nostro carattere, togliendo qualche maschera, e forse, con un po’ di necessario coraggio, lasciare emergere anche alcune nostre fragilità. Magari funzionali a contattare in noi risorse nuove che producono buone motivazioni per obiettivi originali.

E il “mettersi in discussione” andrà di pari passo: rivalutare le nostre convinzioni e certezze, concederci il rischio di strategie alternative e strade non ancora percorse, e la giusta audacia per tuffarci e sperimentarci nella novità.

Tutto ciò nel rispetto dei nostri timori, quindi senza osare troppo, perchè sfidare noi stessi potrebbe produrre il risultato opposto: riportarci ad abitudini ed atteggiamenti consueti a cui riattaccarci anche con maggiore rigidità.

Anche di fronte a quelle difficoltà o situazioni complesse che ci portano a chiuderci, con la brutta sensazione del vicolo cieco che può indurci all’immobilità, proviamo a credere a nostre altre potenzialità, spesso ancora sconosciute a noi stessi, mettendoci in gioco, buttandoci!

E mi piace sottolineare una delle mille risorse del gioco per noi grandi: la leggerezza.

Importante ricordarci che questa può coesistere col disagio, anzi esserci d’aiuto, sia mantenendo il sorriso, sia continuando a lasciarci coinvolgere in qualsiasi gioco con dei bambini quando viviamo un momento duro, complicato. Penso che un’espressione seria e imbronciata o un atteggiamento pessimista e pesante, non ci faciliteranno nel trovare utili alternative o soluzioni; quindi anche se in quei momenti può sembrarci particolarmente faticoso, cerchiamo di lasciar spazio alla parte di noi che “fa finta” di essere entusiasta, ad esempio per il goal segnato in un prato con un bimbo che fa il portiere.

Potrebbe essere un’opportunità per riattivare quell’atteggiamento interiore che influenza la nostra immaginazione e creatività, chissà…

E Nietzsche ce lo ricorda così: ” Non conosco altro modo più serio di affrontare i problemi della vita che non sia il gioco”.

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Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

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