“Spesso dimentichiamo che parte delle nostre energie, dei nostri pensieri, delle nostre risorse vengono da una quercia che ci ha accompagnato per parte di una vita, con pazienza, con attenzione e sicuramente con tanto amore.”
Mio padre aveva gli occhi verdi e quando li ha chiusi per l’ultima volta, ho provato un senso di sollievo.
Per la riconquista di quella dignità che sentiva di aver perso negli ultimi mesi e che, invece, non l’aveva mai abbandonato, neanche in quegli attimi in cui la vita lo stava lasciando. La stessa dignità con cui indossava la divisa dell’arma, compagna fedele di quarant’anni d’esistenza.
Le lacrime sono arrivate dopo, una settimana, un mese; il sollievo ha lasciato spazio al dolore, di chi cessa di essere figlia e ha la consapevolezza che una parte della quercia si è persa per sempre.
Solo una parte.
Mi ricordo mio padre.
I suoi occhi verdi che si velavano rapidamente di lacrime per ogni piccola emozione, diventando più verdi dello smeraldo. Occhi che sapevano esprimere ogni stato d’animo, ogni pensiero, ogni sentimento.
Non parlava molto mio padre, ma bastava osservare quegli occhi che spiccavano fra le ciglia nere per comprendere.
“Papà ho preso dieci… papà il compito non è andato bene. Papà mi sono laureata… papà ho trovato un lavoro…papà aspetto un bimbo”.
Mi ricordo mio padre, in ospedale, la sera dell’ultimo dell’anno, festeggiare insieme, nonostante una triste scoperta.
Mi ricordo mio padre, due anni dopo, rientrare in sala operatoria e il pianto disperato di un uomo che ha paura di non tornare.
Sì, mi ricordo, il pianto di mio padre e la mia angoscia per non poterlo aiutare, per non essere in grado di alleviare quella sofferenza interna, quella solitudine che sempre accompagna l’unica cosa che si è costretti a fare da soli.
Mio padre aveva gli occhi verdi che si contornavano di piccole rughe quando rideva ma che non smettevano mai di brillare.
Non parlava molto ma amava molto. Di un amore fatto di presenze, di gesti, di comportamenti concreti.
Mi ricordo mio padre che, durante gli anni di università, per evitarmi il treno che sapeva odiavo, si faceva carico di venirmi a prendere con l’auto, lui che non amava viaggiare, dicendo a mia sorella, con un sorriso: “Vado a prendermi un caffè a Roma, vuoi venire?”
Anni dopo, fu costretto a tornare per controlli medici. Prendeva una corriera la mattina presto e cercava di ripartire la sera stessa per non crearmi problemi.
Lo andavo a prendere alla stazione e lo accompagnavo dallo specialista.
Poi, regolarmente, terminata la visita, puntavo la macchina verso Chieti e lo accompagnavo, perché sapevo che non amava le corriere.
E alle sue proteste gli dicevo: ” Vengo a prendermi un caffè a Chieti”.
Mio padre, aveva gli occhi verdi che si riempivano di lacrime per ogni piccola attenzione a lui rivolta, ma quelli sono stati i caffè più dolci della mia vita.
Sabrina, se mi permetti vorrei anch’io dedicare questo tuo articolo a mio padre…sembra scritto per lui…me ne prendo un pezzetto e glielo dedico, per ringraziarlo dell’amore e della dedizione di una vita, per restituirgli quella grande dignità che aveva caratterizzato tuta la sua esistenza su questa terra e che aveva perso a causa di una malattia terribilmente invalidante. Ancora grazie per aver espresso con le tue quelle che sono anche parole i le mie emozioni. un bacio Loredana
Cara Loredana,
ti abbraccio e ti ringrazio per queste tue parole.
sabrina
Grazie per avermi ricordato da quale bella quercia siamo nate. Grande papà!!
Un abbraccio forte.
Nei tuoi occhi verdi come quelli di Tuo Padre, oggi ho rivissuto anche io il ricordo di mio Padre.
Grazie
Grazie a te per aver condiviso questo ricordo.
un abbraccio
sabrina