Ci sono libri che non si leggono soltanto: si vivono, si respirano, si portano con sé. “Le chiamava persone medicina” è uno di questi. Non è tanto un romanzo da divorare per sapere “come va a finire”, quanto un viaggio che invita a fermarsi, ad ascoltare, a guardare dentro e intorno a sé.
Gio Evan, con la sua scrittura poetica e luminosa, ci accompagna in un percorso che parla di fragilità e forza, di silenzio e parole, di tempo lento e relazioni profonde. La sua voce ricorda che esistono persone, le cosiddette “persone medicina”, capaci di curare non con gesti straordinari, ma con la loro semplice presenza. Figure che ci fanno sentire visti, accolti, ascoltati.
” Nonna diceva che ci sono persone che appena le senti ti calmano i battiti, aggiustano i polsi, ti aprono le persiane del cuore e fanno entrare la luce vera, quella del sole. Persone che con un abbraccio ti fermano la tachicardia di dentro, quella che per notti e anni hai collezionato a colpi di ansie che nemmeno ti appartenevano……. Diceva che ci sono persone che quando le guardi guarisci, che quando le hai accanto migliori di respiro, di mosse e di pensiero. A detta sua le uniche persone da frequentare, le uniche persone da diventare. Persone che fanno di te stesso un migliore te stesso. Nonna le chiamava persone medicina.”
Il valore di questo libro sta proprio qui: è un invito a riconoscere nella nostra vita le persone che ci fanno bene, ma anche a domandarci come diventare noi stessi fonte di cura per gli altri. Non c’è imposizione, non c’è morale: c’è la possibilità di guardare la quotidianità con occhi nuovi, più consapevoli, più grati.
Chi si occupa di crescita personale o di counseling troverà in queste pagine un compagno prezioso. Il ritmo lento, i silenzi, i frammenti di saggezza disseminati tra le righe offrono spunti per riflettere sul senso della fragilità, sul valore della connessione autentica e sul bisogno profondo di rallentare.
Le chiamava persone medicina non è un libro che ti spiega: è un libro che ti fa sentire. Un libro da leggere senza fretta, da tenere accanto come si tiene accanto una persona cara.
In un mondo che corre, che consuma emozioni come se fossero notizie, un libro come questo è un atto di resistenza gentile. Ricorda che la lentezza non è debolezza, che la sensibilità non è fragilità ma profondità, e che la cura, quella autentica, inizia sempre dallo sguardo, dal tempo dedicato, dalla presenza.
“Le chiamava persone medicina” è dunque più di una lettura: è un promemoria, un balsamo, una carezza per chi ha dimenticato quanto può essere potente la dolcezza

