Cronache dal Café Philò: il senso del tradimento ed il senso della fedeltà.

“Tradire. Parola grossa. Che significa tradimento?

Di un uomo si dice che ha tradito il Paese, gli amici, l’innamorata.

In realtà l’unica cosa che l’uomo può tradire è la sua coscienza” (Joseph Conrad)

 

Quando si pensa alla fedeltà ed al tradimento è facile schierarsi e pensare idealmente in maniera univoca: bianco o nero, giusto o sbagliato, forza o debolezza, bene o male. Poi la vita ci insegna dubbi e sfumature che dissolvono i confini del qui o lì, del sempre e del mai, fino a scollarci, talvolta anche dolorosamente, dal nostro unico punto di vista e a lasciare la zona di comfort delle certezze ideologiche. Arriva inevitabilmente la sacra nebbia della confusione, dove gli occhi li dobbiamo aprire per davvero e non è più possibile procedere in automatico, dove l’immaginazione lascia il posto al sentire ed ogni mappa va riscritta al momento, dove è necessario chinare un po’ il capo perché l’orizzonte ora siamo noi e si è ristretto a tal punto da toccare i nostri piedi. Quello è il momento cruciale per ripartire da sé, in cui è bene rallentare o fermarsi per riconsiderare la direzione e scegliere i prossimi passi con prudenza e consapevolezza.

 Lo scorso 16 aprile ne abbiamo parlato al Café Philò, partendo da una lettera di una giovane donna ad un giornale, che raccontava del suo sentimento di figlia tradita dopo la scoperta di una relazione extraconiugale di suo padre. Leggendola si percepiva tanta rabbia e tutto il suo dolore per il crollo di una figura idealizzata, per la supina accettazione da parte della mamma, oltre alla paura e alla perdita di fiducia nelle relazioni future. La risposta dello psicoanalista U. Galimberti, è suonata come uno schiaffo: tutt’altro che comprensiva e consolatoria, a sorpresa sottolinea la dignità del tradimento e mette il dito sulla ferita dell’abbandono, separando la figlia dal suo improprio sentimento di vedovanza per restituirle oggettività, responsabilità di crescita, quindi libertà. Eccone qualche passo: ”se il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della vita, può venirsi a trovare … Nasciamo nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia … Tradire significa infatti svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, quindi più autentica e vera.”

 Scoprire che amore non fa rima con sicurezza e appartenenza è destabilizzante e dolorosamente vero, ci riporta al centro e ci aiuta ad uscire dalla vischiosità delle dinamiche di vincolo [1], in altri termini quei comportamenti automatici che ci vedono troppo spesso genitori o figli all’interno del rapporto di coppia e che svalutano la fedeltà fino a confonderla con la paura e con un’infantile ingenuità. “In ogni amore, delle persone e delle idee, c’è una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costruirsi solo all’interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce tradimento e neppure lo ipotizza, c’è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si preannuncia un profilo d’ombra …”

L’ombra dunque, la visibile presenza di qualcosa fuori dal recinto, la tentazione, la rinuncia, le aspettative, il rischio o la ‘follia’, il dolore della fine ed uno specchio infranto per entrambe le parti. Perché il tradimento fa male, così come il senso di colpa, e costringono in ogni caso a smettere di “barare al gioco della vita” per ritrovare la propria identità ed il senso dei propri sentimenti. “Fedeltà e tradimento devono l’una all’altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l’un l’altro da quella pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per ‘amore’. Il traditore queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quella svalutazione di se stesso per non essere più amato dall’altro, senza accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell’altro.”

 Parole dirette, dense e pesanti come macigni che però hanno avuto un effetto liberatorio e riconciliatore con aspetti spesso scomodi o dolorosi della nostra esistenza. Ognuno le ha masticate, elaborate, dibattute, qualcuna avrà una digestione lenta ma alla fine tutto si è ricomposto in un mosaico a tutto tondo ove non c’è più il bianco o il nero, ma tessere double-face, opposte e complementari. Né male né bene ma disagi e risorse su cui, come da nostra tradizione, abbiamo concluso la serata tornando a casa con una riflessione in più. Ecco che l’amore supera l’appartenenza e diventa scelta, libera, responsabile e consapevole; la fedeltà si ridefinisce come rispetto di sé e dell’altro, non più recinto prefabbricato dalla morale e dalle paure ma spazio sacro, ove onorare i propri valori; infine il tradimento, sia agito che subito, nel suo significato primigenio del ‘dare’, del ‘consegnare’, ovvero restituire l’altro a se stesso, perché ognuno ridisegni la propria identità ed autonomia.

 Infine la sincronia con l’atmosfera pasquale ci permette l’ultima chiosa: “ tradendo qualcuno lo si consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino”

Buona Pasqua e buona trasformazione a tutti voi.

 

 

 

[1] ne ho parlato più diffusamente in un articolo precedente: “Quando la coppia scoppia”

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Autore: Stefania Nanni

Counselor relazionale in Media-Comunic-Azione® e docente di lingua e civiltà anglosassone. Umanista nell’animo per la propensione agli aspetti esistenziali e della socialità, da oltre un ventennio si occupa di crescita personale, tecniche olistiche e aggiornamento professionale, estendendo le competenze pedagogiche anche in ambito organizzativo, gestionale e formativo. Esperta di comunicazione e mediazione del conflitto, è membro di Avalon dal 2000, ove ha conseguito il titolo, e vi collabora come counselor, formatrice e blogger sul giornale “Cronache di un libero pensiero” nella rubrica “Il punto di vista del counselor”. Da sempre interessata allo sviluppo del potenziale e delle peculiarità del femminile, partecipa attivamente alle attività del “Cerchio di Sorellanza” e del “Caffè delle Donne”, coadiuvando la dott.ssa Fusco nella conduzione. Presso la Psico-libreria “I Luoghi dell’Anima” organizza e modera gli incontri pubblici del “Cafè Philo” sulle tematiche del vivere e delle relazioni, secondo i canoni della comunicazione ecologica e del dibattito aperto.

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