Con i piedi per terra: parliamo di umiltà

Lo spunto per questo articolo mi arriva da una situazione piuttosto frequente tra le persone con le quali lavoro come counselor.
Capita infatti che riveda qualche persona dopo anni, poiché ha bisogno di un ulteriore confronto, magari su altre tematiche rispetto a quelle affrontate in precedenza.

Nello svolgimento dei nostri dialoghi di counseling, a volte chiedo: “Ti ricordi come stavi riguardo questo aspetto quando abbiamo lavorato la volta scorsa”?

A questo punto sono due le reazioni che ho visto: la prima, un momento di meraviglia. Questo accade quando richiamiamo il ricordo di come stavamo, come eravamo, a che punto della vita ci trovavamo all’inizio di un processo di sguardo interiore. Realizziamo così che, anche se ora non siamo nella condizione ottimale che desidereremmo, abbiamo però fatto grandi passi in quella direzione, trasformando dei comportamenti, dei modi di pensare e di agire e rendendoli più nutrienti e più rispettosi di noi e dell’altro.

L’altra reazione è di smarrimento: non ci si ricorda da dove si è partiti.

Cosa ha a che fare questo con l’umiltà? Tantissimo.

Nel pensiero comune, siamo abituati a parlare di umiltà come di modestia. Diciamo infatti che è umile una persona che non si vanta dei propri successi, non si monta la testa.

Ma la parola “umile” ha delle radici molto diverse. Deriva infatti dal latino Humus, terra. Allora siamo umili quando abbiamo contatto con la terra.

Avere contatto con la terra significa sentire profondamente le nostre radici, che sostengono chi siamo oggi. Quando siamo umili, ricordiamo le difficoltà che abbiamo avuto e come le abbiamo superate, diventando così coscienti anche dei nostri punti di forza. L’umiltà non ci limita, anzi ci rafforza.

Perché, se nel nostro momento di difficoltà non ci ricordiamo di come abbiamo superato altre situazioni complesse, di come siamo riusciti a migliorare aspetti della nostra vita, dei successi grandi o piccoli che abbiamo avuto, rimaniamo in un sentire egoico dove l’energia della vittima ci afferra e non ci permette di spostarci da lì.

Allo stesso tempo, essere umili e dunque ricordare il nostro percorso, ci fa essere più teneri verso gli altri, più predisposti all’ascolto e alla compassione.

L’umiltà a che fare anche con la gratitudine: nel ricordo del nostro viaggio di vita, comprendiamo anche le persone che ci sono state vicine, gli aiuti che ci sono arrivati. Sappiamo che non abbiamo fatto tutto da soli, ma al contempo riconosciamo la nostra volontà di uscire da un’impasse.

L’umiltà ci rende centrati, non troppo sbilanciati verso gli altri, ma neanche verso noi stessi. Ci toglie dal giudizio e ci apre all’accoglienza di ciò che è, semplicemente.

Qualcuno può credere che il contatto con la terra significhi non poter mai spiccare il volo, ma è proprio l’opposto. L’albero, senza radici salde, non può far crescere le proprie fronde verso il cielo. Così noi, se non manteniamo l’umiltà, diventiamo superbi, ci crediamo superiori alla vita, e facilmente vivremo altrettanta insoddisfazione di chi stagna in un’energia vittima, situazione in cui finiremo al primo insuccesso o difficoltà.

Per questi motivi, ogni tanto è utile chiedersi: in che rapporto sono con l’umiltà? Ho i piedi per terra? Mi ricordo di com’ero? Sento che sto giudicando molto gli altri, o molto me?

Come sempre, se vuoi lasciare una riflessione nei commenti, sarò lieta di leggerti.

 

 

Image by katsuwow from Pixabay

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