Essere coscienti del valore della vita. Intervista a Pablo Veron (II parte)

Man mano che l’intervista procede, Pablo apre sempre più il suo cuore ad un pubblico che lo ascolta emozionato. È palpabile il flusso che li connette.

Z: Sei una persona che viaggia e ha possibilità di osservare tante culture, tante realtà. Mi piacerebbe chiederti qual è la tua visione del mondo, della situazione attuale dell’essere umano.

P: Pericolosa. Mi sembra che a livello ambientalistico il pianeta sia davvero in pericolo, che l’umanità sia in pericolo. Penso che ci sia una presa di coscienza in molti gruppi, molta gente che lavora in cause nobili, umanitarie, animaliste… Ho l’impressione che siamo in un conto alla rovescia. Per questo è molto importante essere coscienti del valore della vita e impegnarsi a non generare più male di quello che già c’è. È possibile essere benefattori. Non lottare contro le tenebre, contro tutto il male (Pablo lo dice in tono enfatico ed ironico), ma portare un po’ di luce in questa situazione

Z: Alla luce di tutto quanto stai dicendo e riportando l’attenzione dal contesto alla persona, quand’ è che possiamo dire che un uomo è realizzato?

P: (Pablo prende qualche secondo per riflettere) Quando può generare una pace relativa intorno al suo stesso mondo e impegnarsi in ciò che più ama. Credo che un certo sviluppo della capacità di empatia e dell’altruismo possa aiutare molto. Conseguire una tal pace significa non aver paura delle proprie oscurità e vedersi oltre tutto questo. Guardare la realtà della propria vita, ciò che è stato, ciò che è ed accettarlo. Considerare quindi che, chissà, ciò che verrà potrebbe essere migliore di ciò che è stato. Nell’idea di essere realizzato e di dirlo, non so fino a che punto esista la realizzazione. Qualche giorno fa vedevo un video di Sting e mi ha dato l’impressione di una persona realizzata, perché stava suonando con tanto piacere! Un artista che è arrivato così bene a manifestarsi ed esprimere se stesso! Ma insisto. Non penso che la realizzazione dipenda da alcun risultato, ma dal fatto di amare se stessi, oltre che dalle circostanze.

Z: Quali sono le piccole cose del quotidiano che ti possono rendere felice?

P: Prendere un buon mate… (lo dice sorridendo amabilmente) Tutto ciò che ha una connessione con il piacere. Ascoltare musica, mangiare, condividere con amici e la natura, che per me è molto importante, mi dà equilibrio. Non ho opportunità di andare tutti i giorni nella natura. Mi piacerebbe che avesse più spazio nella mia vita. E il silenzio anche….

 

A questo punto io, Zuleika, mi rivolgo al pubblico, invitandolo a fare domande. È totalmente rapito dall’energia di Pablo e dalla sua capacità di riportare tutti a terra. Una sensazione di calma e di radicamento pervade la sala…

Dal pubblico: volevo chiedere a Pablo, che è cittadino del mondo, il legame con la sua terra e la storia del suo Paese…

P: Soffro molto la realtà del mio Paese, perché lo amo.  Mi frustra e devo fare un gran lavoro per accettarlo. È così. È stato così da secoli. E in questo momento sta ancora una volta molto male. Dicono che ora sia peggio che mai, con un debito pubblico enorme. Mi rendo conto che soffro, perché amo il mio paese. Nello stesso tempo devo prendere una distanza. A volte, quando sono in Argentina, do delle lezioni gratis, ma…

Ciò che invece è successo da un punto di vista culturale in Argentina è favoloso. È incredibile in particolare cosa successe come fenomeno di immigrazione, nella multiculturalità, che creò terreno fertile per l’incontro di tutte le tradizioni del mondo. Mi interessa molto la storia e ora, che la sto studiando di nuovo, mi balza agli occhi un aspetto molto importante, che è l’influenza araba in Argentina. Non solo per ciò che riguarda la situazione degli immigrati di oggi, vista la presenza di una grande comunità araba, armena… ma per il passato, dato che gli Spagnoli che conquistarono l’argentina erano stati a loro volta assoggettati dagli arabi per 700 anni. Quindi anche il tango ha molto di arabo e questo è molto interessante a livello ritmico, soprattutto nel folklore…

Dal pubblico: quali sono le orchestre che preferisci ballare e mi piacerebbe chiederti qualche nome dei grandi del tango che hai potuto conoscere…

P: Mi piacciono sinceramente tutte le orchestre. Ora sto nuovamente studiando le varie influenze nella cultura, perché il tango davvero ha ricevuto imput da tutti gli ambiti. Dalla classica, dal jazz, dalla polka, dalla habanera, da una quantità di tradizioni autoctone… Sto rivalutando tutte le influenze, addirittura cinese e giudaica, senza parlare di quella africana. Così ascolto in una maniera davvero molto aperta ora e apprezzo tutte le orchestre, individuando le peculiarità di ciascuna. All’improvviso me ne piace una che magari prima non avevo approfondito molto, come per esempio adesso sto ascoltando la Tipica Victor che è abbastanza basica, ma non posso eleggerla come amore, perché apprezzo tutta la varietà che il tango propone. All’inizio, che era più duro, fino allo sviluppo più lirico raggiunto da Astor Piazzolla. Io vivo in un quartiere dove a volte suonano orchestre nuove. Vado sempre ad ascoltarle, ma nei musicisti di oggi manca provocazione, la rottura della tradizione. Si è rimasti ancorati all’epoca d’oro. È vero, era “de oro”, ma quando all’epoca queste orchestre emersero erano innovatrici totali. Manca quindi l’innovazione. L’aspetto stimolante per me è approfondire le radici, aprire la mente a come il tango sia connesso ad una quantità di cose che vanno oltre le orchestre strutturate e al pensiero “ah! Questo è vero tango!”. Il vero tango si costruisce.

Io ebbi la fortuna enorme di conoscere Petrolio, che negli anni ’40 fu il trasformatore del tango. Inventò i giri, inventò l’arrastre e una quantità di possibilità di ritmica… ed era un ‘conceptualizator’ e mi ha trasmesso questo. Non vedeva i passi in quanto tali. Parlava di incontrare il movimento madre, il movimento generatore di movimenti, e mi stimolò la ricerca in questa direzione. Fu quindi per me l’ispiratore dell’orientamento della ricerca. Poi ho lavorato tanti anni nello spettacolo “Tango argentino”, che fu il primo spettacolo del genere e che coinvolse negli anni ’80 tutti i ballerini che venivano dagli anni ’40 e ’50. Erano tutti i ballerini più importanti in quel momento, davvero rappresentativi del tango. Non si trattava di un prodotto commerciale. A differenza di oggi, in cui facilmente, se uno ha vinto il Mondiale, lo si definisce miglior ballerino al mondo di tango e magari il tipo studia solo da tre anni.. Se ci arriva ha sicuramente talento e vive una grande opportunità, ma poi deve mantenersi campione e non succede mai, perché sempre sopraggiunge un altro che è migliore!

Quando ho cominciato a ballare tango ero davvero piccolo. E l’impressione energetica che mi diede per esempio veder ballare Virulazo fu incredibile! Una massa umana di due metri, che ballava molto bene, imponente, fino ad essere delicato… e anche Gloria ed Eduardo, tra le coppie argentine che avevo la possibilità di vedere tutti giorni….ed una quantità di milongueros di cui non conoscevo il nome e anche professori come Todaro, Pepito Avellaneda, Mingo Pugliese, che so abitava qui a Pescara. Mingo era amico di Petrolio…. È molto importante la gente che ha vissuto il tango prima. Dà senso al tango di oggi…

La sensazione di questo tempo trascorso insieme, in cui Pablo si è concesso con autenticità e generosità, è stata di poter aprire una finestra sul mondo e di poter ricontattare le origini, abbeverandosi un po’ alla fonte del tango. Il cuore di tutti è colmo. La sala si riempie di un interminabile applauso… nessuno ha voglia di andare via.

Leggi la prima parte dell’intervista qui

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