In montagna a levare filo spinato

C’è chi va in montagna per arrampicare, chi per starsene un po’ per conto suo. Chi perché gli piacciono le salite in bicicletta e altri che preferiscono invece sedersi a tavola per un’allegra mangiata in compagnia. O per tutte queste cose insieme.

Chi poi va ad osservare la fauna in libertà e altri ancora per lavoro, per analizzarne lo stato di salute. E c’è chi unisce alla bellezza dello stare in un bosco un’attività più che lodevole, all’apparenza insolita: rimuovere chilometri di filo spinato. Lasciati lì da chi prima abitava la montagna, da chi in quota coltivava, viveva. O lasciati dopo progetti di rimboschimento, spesso e volentieri anche con i responsabili poi svaniti nel nulla.

Chilometri di ferro, oggi un po’ interrato, un po’ intrecciato agli alberi che nel frattempo sono cresciuti: se ne trovano anche con filo che spunta da un parte e dall’altra del tronco, che negli ha inglobato il filo. Spesso, anche ad altezza uomo, verrebbe da dire. Ma soprattutto ad altezza fauna selvatica, che non va tanto d’accordo con le punte spinate, limitandone queste il libero movimento.

E così ecco le associazioni Rewilding Appennines – capofila del progetto – e Salviamo l’orso che, con il sostegno di aziende private vicine al tema montagna e tempo libero, nonché con il supporto di tanti volontari, organizzarono campagne di rimozione del fastidioso lascito dell’uomo.

In Abruzzo da almeno due anni queste associazioni si danno da fare, accogliendo anche volontari dall’Italia e non solo. “E’ il filo rimasto lì da quando, ad esempio, in montagna si coltivavano patate, anche fino a 1500 metri di altezza – spiega Antonio Di Croce, direttore della Riserva naturale regionale Monte Genzana Alto Gizio -. O da quando si curavano gli alberi da frutto, adesso inselvatichiti. Parliamo anche di cinquanta anni fa”.

In territorio abruzzese, fino ad oggi, sono stati rimossi almeno 20 chilometri di recinzione. “Il numero va moltiplicato per tre, considerando appunto le tre linee di filo – spiega Mario Cipollone di Rewilding Appennines -. Quindi, sessanta chilometri. Sembra poco detta così, ma è tantissimo”. Un lavoro svolto sempre in sintonia con gli enti locali e spesso con il plauso delle comunità. “Il bisogno di volontari è enorme – prosegue Mario Cipollone -. Anche un abitante del posto che ci dà un passaggio col fuoristrada è davvero importante. Il sostengo degli sponsor ci aiuta, copre per esempio i momenti conviviali dopo il lavoro. Anche qui, sembra poco ma è tantissimo”.

A vedere i video realizzati con le fototrappole con gli animali che vanno liberi in montagna ma poi si fermano di fronte al filo spinato, si capisce quanto questa attività sia davvero nel segno dell’amore per fauna e la natura in generale. Le associazioni hanno realizzato un intervento anche in Molise. 

“Avremmo da lavorare per anni ancora, per rimuovere davvero tutto” conclude Mario Cipollone.

Intanto l’strice, il cerbiatto, la volpe, il cinghiale, l’orso, il lupo, ringraziano. E anche il pettirosso, che adesso si posa su un ramo e non sul filo arrugginito.

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Autore: Alessandro Ricci

Pescara, 1974. Giornalista free lance, inizia con Il Messaggero Abruzzo nel 1994. Collabora nel tempo con testate regionali e nazionali, cura l'ufficio stampa per enti pubblici e privati in particolare nel settore viaggi e turismo. Nel 2007 avvia il progetto Borracce di poesia - La bici per il verso giusto. Il tutto nel segno della curiosità e della conoscenza.

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