Connesso in rete, ri-connesso con te stesso

Quando lo smartphone è entrato nella nostra quotidianità, nessuno avrebbe potuto immaginare l’impatto che questo “telefono intelligente” avrebbe avuto sul nostro stile di vita; non è un caso infatti che si parli di rivoluzione digitale non semplicemente riferendosi all’evoluzione tecnologica in sé ma alla trasformazione che ha portato a tutti i livelli della società. Pensiamo, ad esempio, a come ha modificato il nostro modo di comunicare e di conseguenza di relazionarci agli altri. Una novità di tale portata che in una dozzina d’anni circa ha coinvolto tutti, visto che oggi sono pochissimi i “ribelli” che si ostinano a restare “offline”, e ancora meno quelli che non hanno un cellulare. E noi, quanto siamo social? Quanta energia investiamo online sui nostri account facebook o instagram, o quanto spazio dedichiamo alla comunicazione attraverso piattaforme di messaggistica istantanea come whatsapp o messenger nella gestione delle nostre relazioni?

Se queste domande ci fanno stare scomodi e anche un pizzico in colpa per il tempo che trascorriamo in rete, allora forse è perché vanno a pungolare quella parte di noi che sa di aver travalicato il confine di un sereno ed equilibrato utilizzo di internet. Ci accorgiamo di essere andati oltre quando, ad esempio, non essere connessi ci rende nervosi o di cattivo umore, o quando non possiamo fare a meno di rispondere al richiamo delle notifiche o dei messaggi, come se l’ansia di controllare lo smartphone avesse la meglio su di noi o quando, al contrario, ci sentiamo particolarmente sollevati o liberati da un cellulare spento per cause di forza maggiore.

E allora fermiamoci a riflettere sul prezzo che paghiamo per essere sempre connessi e scopriremo così che paghiamo con tempo, energia e qualità delle relazioni che andremo a sottrarre al nostro mondo interno e esterno. Non demonizziamo lo smartphone che è un oggetto geniale, utilissimo e irrinunciabile, ma quando la sua frequentazione è eccessiva, quasi ossessiva, allora qualcosa non va.

Quando mi chiedono che male ci sia nel voler stare online, rispondere ai messaggi o pubblicare foto in continuazione, è chiaro che la risposta è nell’entità del nostro attaccamento a tutto questo. Ciò che influenza in modo determinante il nostro benessere personale e interpersonale in ogni campo della nostra esistenza è sempre il volume dei nostri comportamenti e, come ci insegna la mediacomunicazione, per bilanciare un eccesso non ci si priva dello stesso ma si integra il suo polo, che in questo caso è l’intimità con sè stessi.

Quando è stata l’ultima volta in cui siamo stati in compagnia di noi stessi? Un momento in cui siamo rimasti da soli e in ascolto dei nostri pensieri senza trattenerli troppo e in cui abbiamo respirato piano semplicemente “stando”?

Se sentiamo la nostra mancanza allora concediamoci un tempo privo di distrazioni durante la giornata, uno spazio intimo e privatissimo, spegniamo il cellulare, anche solo per una manciata di muniti, facciamo che quel momento sia svuotato di attese e aspettative e resistiamo all’impulso di riempirlo con cose che disperdano la nostra presenza. Per dirlo in altri modi, immergiamoci in quel che Pavese chiama “la sospensione dell’accadere”.
Poi facciamo un passo verso l’altro e proviamo a sentire quanto sia essenziale valorizzare al meglio la qualità della condivisione muovendoci con presenza tra le due coordinate preziose dell’esistenza: il tempo e lo spazio, risorse letteralmente impagabili. Ci accorgeremo che è indispensabile un nuovo galateo dei mezzi informatici. Quando siamo in situazioni sociali reali diventa fondamentale limitare l’importanza che diamo al telefono, per stare con l’altro, per onorare quel momento di compartecipazione e per risparmiare agli altri la spiacevolezza di parlare a qualcuno che ha lo sguardo immerso nello schermo del telefono. Godiamo così di ciò che la vita ci offre, con quella leggerezza e familiarità col mondo che ridimensiona quel senso di lontananza che spesso è alla base della nostalgia di noi stessi e degli altri.

Un altro aspetto di questa nuova “educazione social” riguarda il modo in cui si interagisce online, sui network nello specifico. Seppur virtuale e senza regole, questa realtà è fatta di persone, di tutti noi, e perciò porre attenzione ai modi e ai contenuti delle comunicazioni è determinante. Le parole sono portatrici di benessere o meno, hanno un’enorme potenza, sottovalutata da alcuni e sopravvalutata da altri perciò non buttiamole a caso o non carichiamole di emozioni che non appartengono a quel contesto, ma gestiamole con cura e gentilezza perché sempre la misura e il volume della loro espressione fanno una differenza per noi come per gli altri.
Essere presenti non significa vivere in uno stato di allerta o non essere mai rilassati, semplicemente ma non facilmente vuol dire entrare in contatto con le nostre esigenze e con il resto del mondo in uno scambio osmotico nutriente tra interno e esterno, col proposito, che è di certo la sfida dell’esistenza, di ricercare un equilibrio tra l’ascolto di sé e la capacità di muoversi nella vita, tra il silenzio e la comunicazione, tra il dentro e il fuori.

Per stare nelle cose nella giusta misura hai bisogno, più di qualsiasi altra cosa al mondo di connetterti o ri-connetterti a te pensando di essere il tuo migliore amico.

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