Fuori dalla bolla

Care amiche e cari amici che leggerete questo mio articolo, sto scrivendo alla luce delle ennesime misure di lockdown.

Dopo un anno di restrizioni, con le giornate che si stanno allungando, la luce che è sempre più viva, con gli alberi che fioriscono e il cinguettio degli uccelli, noi ci troviamo alle prese con limitazioni severe alla nostra possibilità di muoverci, lavorare, studiare, frequentare persone.

É un dato di fatto, al di là di quello che ciascuno di noi pensa in merito.

Questo ci porta ad un isolamento forzato che, per molti di noi, equivale ad un ripiegamento su noi stessi. Senza che ce ne accorgiamo, poco alla volta il nostro sguardo accorcia la sua portata, e siamo concentrati solo a ciò che ci riguarda direttamente e nell’immediato: come sopravvivere, come gestire i figli, come si usa zoom…

Mi piace ricordare che, come disse Aristotele, l’uomo è un animale sociale. Non siamo fatti per isolarci gli uni dagli altri, bensì siamo animali che godono e crescono attraverso la relazione con gli altri.

Ma oggi godimento e crescita sono due concetti che ci appaiono sempre più lontani, sfiniti come siamo dalla situazione che ci circonda.

A questo punto ti chiederai: e quindi?

Non ho bacchette magiche da consegnarti, ma un piccolo suggerimento sì, se lo vorrai cogliere.

Quando tutto ci porta in una direzione, e il nostro equilibrio si sbilancia, quello che è importante fare è aggiungere un contrappeso dal lato opposto. In altri termini, se siamo ripiegati su di noi, abbiamo bisogno di spostare lo sguardo agli altri, alla relazione. Oltre il semplice dovere, però, perché di questo ultimamente ne sentiamo anche troppo.

Spostiamo lo sguardo sull’altro cercando il piacere.

Per esempio: cuciniamo biscotti e regaliamoli. Improvvisiamo un baletto a distanza. Raccontiamo di “quella volta che”, teniamo viva la memoria. Offriamo un sorriso a chi incrociamo, si vede anche dietro la mascherina, gli occhi non mentono. Chiediamo “come stai”? Chiediamolo soprattutto ai ragazzi, ai bambini.

Poco alla volta, come se fosse un allenamento, come se prendessimo una medicina buona, potremmo notare che ci alleggeriamo, almeno un po’, e che ricominciamo a guardare al futuro, quando abbracciarsi non farà più così paura.

 

 

 

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