Il pavone e la felicità

Giulia entra nella stanza dello studio quasi di corsa, ha l’aria agitata di chi non può trattenere una notizia.

La invito a sedersi e a farmi partecipe della sua emozione. Mi racconta di aver incontrato, nel bel mezzo di una trafficata strada provinciale circondata da case e negozi, un pavone. Era in auto e viaggiava a velocità moderata quando vide di fronte a lei, fiero al centro della carreggiata, un nobile e bellissimo pavone.

Per un momento, assorta com’era nei suoi pensieri, credette persino di aver immaginato quell’animale così fuori contesto ma no, il regale pennuto era lì, a pochi metri dalla sua auto.

Non c’era pericolo che lo investisse, Giulia non era spericolata alla guida e per questo quasi si giustificava: “è naturale andare piano per chi ha visto da vicino l’asfalto” riferendosi a un brutto incidente in motorino in cui era stata coinvolta anni prima.

Si fermò dinanzi a lui, scese dall’automobile e si avvicinò pian piano ma le sue accortezze fecero comunque scappare via il pavone che salì sul marciapiede e si diresse verso un grande cancello di ferro. Giulia prontamente corse a spostare l’auto, rassicurata dal fatto che il pavone fosse fuori pericolo.

“Poteva essere investito!” mi dice accoratamente.

Rimase a osservare il pavone per diverso tempo come si fa con un’immagine meravigliosa: il collo colorato di un blu metallizzato e la coda maestosa e grandissima che aperta, era un ventaglio di colori organizzati come in un dipinto. Spiccavano brillanti il blu, l’oro, il verde, il giallo e il nero. Rimase colpita da tanta bellezza portata nel mondo con la semplicità tipica della natura. Il pavone intanto emise uno strano verso forte, una sorta di richiamo dai suoni acuti e penetranti, di quelli che senti a grandi distanze.

“Sono rimasta un pò insieme a lui, era certamente spaventato. Poi si è diretto verso una stradina laterale e, tra la corsa e il volo, è arrivato dentro a un giardino recintato, a casa.”

Le chiedo cosa l’avesse colpita tanto di questa esperienza e lei, come un fiume, racconta di aver sentito rinascere in sé la fiducia nel nuovo, nell’inaspettato e nel bello che possono arrivare a sorpresa nella vita.

“Sai dottoressa, mi aspetto sempre il peggio invece mi è capitato un evento straordinario, a me, proprio a me!”

Si commuove Giulia, le sue lacrime hanno un diverso sapore questa volta.

“E’ da troppo tempo che sento la mancanza di emozioni piacevoli nella mia vita, mi manca sentirmi felice, entusiasta o semplicemente serena! Mi manca essere felice ma ne ho paura. Se mi accade qualcosa di bello poi arriverà il brutto, si sa! Ed io non saprei a quel punto affrontarlo perché in mente avrei fresca la felicità, saprei perfettamente cosa sto perdendo e allora il dolore potrebbe uccidermi! Come lo potrei affrontare? Posso accettare di essere triste, posso accettare anche di non essere all’altezza delle situazioni che vivo ma non posso sostenere la perdita della felicità.”

Giulia mi sta mostrando la sua paura più grande e con lei il mezzo per difendersi. L’ho sentita contesa tra due opposte forze entrambe potenti, il desiderio di essere felice e la profonda e inimmaginabile paura di esserlo. Le emozioni piacevoli rappresentano una minaccia al suo equilibrio come se essere felici equivalesse a mostrare il fianco al dolore.

“Quando sono felice sono vulnerabile, potrebbe accadermi di tutto”, mi dice.

Mentre lei parla mi tornano alla mente le parole di Natalia Ginzburg pronunciate in un’intervista nel ’64. Questa nota scrittrice parla di una faticosa e infinita felicità che in quanto tale comprende anche la disperazione. Afferma che ci sono condizioni in cui l’uomo si innamora della sua infelicità, non sa staccarsene al punto da portarsi lontano da se stesso e dal mondo rinunciando così alla possibilità di essere felice. Conclude dicendo che “non bisogna scegliere di essere diabolicamente infelici”.

Prima dell’incontro con Giulia non avevo compreso che cosa effettivamente volessero dire le parole della Ginzburg ma adesso è chiaro che l’abitudine all’infelicità è una trappola che rende ciechi rispetto a ciò che di buono, bello e felice c’è in noi e nella vita.

Con Giulia intanto comincia, passo dopo passo, la strada per comprendere come si sia formata e consolidata in lei la credenza che la felicità sia minacciosa. Solo nello step successivo questa giovane donna comincia a fidarsi della gioia e a ringraziare quando arriva così come si accettano i regali per i quali non c’è un prezzo da pagare. Smette così di credere che sia necessario barattare la felicità con il dispiacere.

Siamo partite dal sorprendente incontro con un pavone in città per arrivare a scoprire che la felicità può fare paura ma al tempo stesso sorprenderci e addirittura essere un regalo disinteressato che non ci chiederà nulla in cambio.

Mi domando allora quanto sia radicata dentro di noi l’idea che la gioia, il piacere o la felicità siano collegate al senso di colpa, al peccato e quindi alla punizione.

Inoltre, vista la necessità umana e piuttosto diffusa di avere il controllo sulla propria vita, quanto ci rassicura pensare di sapere cosa ci aspetta magari dopo un lieto evento ?

E se, come Giulia, imparassimo a sorprenderci dello spettacolo di bellezza, stupore e felicità che la natura in pieno rappresenta e godessimo senza colpe o rimpianti dei doni di cui la vita, più spesso di quel che riconosciamo, ci omaggia?

 

 

 

 

 

 

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Autore: Silvia Torrieri

Da sempre affascinata dalla mente umana diventa psicologa clinica per saperne di più, innanzitutto di sé stessa. Alla continua ricerca delle motivazioni che spingono i comportamenti, si specializza nelle "nuove dipendenze" e approda alla Media-Comunic-Azione® diventando counselor Relazionale. Lavora nell'ambito della relazione d'aiuto in diversi contesti e nella professione privata. Condivide con Avalon i valori della formazione continua, l'etica professionale e la crescita personale.

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