Una sbirciata ad oriente. La meditazione come pratica di qualità per il manager

Cari amici e lettori,

colgo l’occasione per salutarvi e augurarvi di cuore un anno splendido e pieno zeppo di novità e soddisfazioni.

Un mio amico mi chiede uno spazio per trattare un argomento professionale, da lui molto sentito, cioè un parere circa l’onere psicologico speso per la classificazione TQM dell’organizzazione in cui lavora. È noto agli addetti ai lavori che un manager e una azienda classificati TQM, (ossia Total Quality Management) acquisiscono pregio e caratura internazionali, un biglietto da visita che attesta  un’affidabilità dovuta ai requisiti di competenza indicati dalla predetta sigla. Ma cos’è il TQM ?

Si definisce così un insieme di metodi e tecniche da applicare nelle strutture produttive e lavorative, allo scopo di applicare miglioramenti di prodotti/servizi, di funzionalità interne e nei processi collegati.

Nelle strutture pubbliche ed in quelle private, il TQM è particolarmente attento a:

 

  • Conferimento di deleghe
  • Processi di pianificazione
  • Organizzazione delle strutture produttive
  • Modelli di motivazione
  • Strutture di controllo

 

Evidentemente parliamo di processi e procedure che, innovative e di garanzia, pur richiedono costanti, radicali trasformazioni e integrazioni.

La ricerca di modelli aggiornati e rivisitati impone al manager una continua attenzione e sensibilità agli aspetti di trasformazione e una notevole flessibilità all’osservazione che il mercato esige.

Stare sul mercato, come spesso si dice, richiede una capacità di interpretazione che spesso appare complessa e di immediata azione di adeguamento.

Ciò presuppone elevate doti di analisi, di sintesi e azioni strategiche decisionali e di sostegno alla competizione, in un sistema globale e sconfinato, fatto di regole difficili e frequentemente obsolete o cinicamente disattese.

Insomma il manager TQM effettivamente subisce, a qualsiasi latitudine si trovi ad intervenire, molta pressione e notevoli situazioni di stress.

E ci si chiede se egli sia realmente nelle condizioni di lucidità, per gli adempimenti a lui delegati? Ossia il manager è in grado di mantenere condizioni etiche, ecologiche e psicofisiche necessarie per effettuare in tempo reale ricognizioni e rielaborare le proprie strategie?

Ma esistono tecniche e modelli di riferimento a cui demandare il disagio spesso pericoloso di un manager profondamente stressato e disorientato?

E i risultati positivi sono sempre misurabili?

Se rivolgo l’attenzione agli approcci utilizzati dalle aziende ad oriente, trovo spesso una tendenza alla meditazione, come modello etico da proporre ai contesti organizzativi.

Il messaggio della meditazione non ha limiti di religione, cultura o tempo, in un mondo aziendale  in cui il livello di pressione, doveri e aspettative cresce notevolmente.

Di fatto indica una via di trasformazione in cui troviamo una maggiore pace interiore, calma, intuizione e soprattutto comporta l’acquisizione di una maggiore capacità di concentrazione e di visione lucida.

Dimentichiamo spesso che le aziende sono fatte di esseri umani, in cui il loro desiderio di pace e l’intuizione sono profondamente radicati, sebbene a volte un po’ sopiti,  cosi come sono senza tempo valori quali l’intimità, la compassione e comprensione.

Cosa significa dunque portare al manager il significato della meditazione?

Secondo me questa via presuppone:

 

  • che la meditazione sia allo stesso tempo semplice, profonda, mistica e pratica
  • che i benefici della crescita e della consapevolezza non solo si ricadano sul singolo, ma anche sul mondo che lo circonda e che chiede sempre più ascolto attivo e visione lucida.

 

La meditazione porta all’ascolto consapevole di sé e del prossimo, che è la base di una vera comunicazione e costituisce  un processo biunivoco in cui impariamo ad essere ricettivi ed empatici.

Spesso ascoltiamo in maniera superficiale, aspettando solo il momento di poter dire la nostra.

Infine, l’ascolto attivo è una via per coltivare sensibilità, attenzione e calore, fondamenti di ogni rapporto ricco.

Ascoltare gli altri nel profondo significa offrir loro il nostro rispetto.

La capacità di ascoltare gli altri si sviluppa in parallelo alla capacità di ascoltare noi stessi mentre parliamo. L’ascolto consapevole richiede una tolleranza, concentrazione, reale interesse per il prossimo, ma ripaga e gratifica per la qualità della relazione che genera.

Vi saluto, vi abbraccio e vi ascolto con il cuore.

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Autore: Alfonso Recinella

Counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo, ha integrato la sua formazione tecnico-scientifica con una formazione umanistica, privilegiando lo studio della filosofia nei suoi più attuali risvolti applicativi e della comunicazione. La sua esperienza sia nazionale che estera nei contesti aziendali in qualità di Senior Manager e Direttore d'impresa, si unisce al counseling specialistico, in un'ottica di sviluppo della cultura d'impresa e della valorizzazione del suo capitale intellettuale. L'utilizzo delle più aggiornate tecniche del counseling mediacomunicativo gli consente di operare ottimizzando le risorse e contribuendo alla risoluzione dei disagi interni alle organizzazioni. L'attenzione alla persona, che riveste il suo interesse primario, ha indirizzato il suo lavoro verso attività che spaziano dall'empowerment al problem Solving, dalla formazione alla didattica esperienziale. Per Avalon gestisce l'Area Sviluppo e Benessere dei contesti organizzativi e svolge attività di formazione.

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