Il valore dei giorni, dell’attesa e della festa

Avete notato come già nella prima settimana di novembre ci sia nell’aria la voglia del Natale? Nei supermercati piramidi di panettoni, nei negozi offerte e confezioni natalizie, in giro luminarie e alberi di Natale già immortalati sui social media.

Per tradizione cristiana, sulla cui falsa riga si poggia l’intera ritualità natalizia commerciale e relazionale, è l’8 dicembre la data che segna ufficialmente l’ingresso in questo mondo. Da sempre, per bambini e non solo, rappresenta la festa più ricca dell’anno, ma anche la rinascita simbolica, lo scambio di doni, la famiglia.

Mi sono chiesta se quest’anno, tanto complesso e sensibile alle emozioni, non ci fosse ancor più desiderio del Natale tanto da anticiparlo ulteriormente. Forse sì.

Forse, più che mai adesso, è il simbolo della salvezza, della vita in famiglia, della riscoperta della quotidianità, delle relazioni fatte di risate e brindisi, di pranzi infiniti e giochi da tavola, di bucce di mandarini e noci e di una tombola noiosa dove si vince sempre perché si è insieme.

Così mi guardo intorno e percepisco l’attesa e nella parola a-t-tendere lo stato d’animo, la tensione verso il buono senza riserve che ci predispone al bello che ci manca immensamente.

L’ attesa della felicità non è certamente un argomento nuovo, l’arte e la letteratura sono piene di opere che le rappresentano e descrivono. Leopardi parla de “Il sabato del villaggio” per descrivere quella fremente attesa della domenica che anticipa e fa assaporare una gioia certa, al contrario dell’incerta domenica così carica di aspettative da rimanerne schiacciata.

Antoine de Sainte-Exupèry nel libro “Il Piccolo Principe” lo descrive con la soave preziosità del suo scrivere:

Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora.” disse la volpe, “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice.
Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e a inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.
Ci vogliono i riti!”
“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata.” disse la volpe, “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.
C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori.

Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio.
Allora il giovedì è un giorno meraviglioso!
Io mi spingo sino alla vigna.
Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza.”

Allo stesso modo noi, come la volpe, prepariamo il cuore alla festa nell’attesa del rito che oggi rappresenta tutto ciò che ci manca: le relazioni, gli abbracci veri, la bellezza delle buone emozioni, la fiducia nella rinascita, la fine della sofferenza, degli stenti e della precarietà, l’inizio di una nuova normalità.

In tutta questa tensione condivisa, ci circondiamo di scintillanti luminarie, di oro e di rosso, di pacchetti sfavillanti quasi più belli del loro stesso contenuto e assaporiamo, come fosse nuovo, il significato di reciprocità, di scambio.

Perché possiamo fare a meno di molto ma non del calore umano, figlio irrinunciabile delle relazioni.

E mentre siamo presi a buttare in avanti i desideri di serenità, non ci accorgiamo che questa fretta è il simbolo della speranza in una trasformazione, della fede in ciò che di buono ci aspetta, della volontà di stare meglio.

Che questa attesa non si trasformi però in ricerca dello straordinario per sfuggire alla quotidianità che ci affligge, che non ci porti a sospendere la vita o a renderci ciechi sulle risorse dell’oggi. Che non ci faccia cadere nell’inganno di chi crede che il valore della festa sia indipendente dalla quotidiana fatica di sostenere la complessità del momento vissuto.

Ordinario e straordinario solo legati a filo doppio e come tutti i concetti opposti l’uno perderebbe di significato senza l’altro.

Non è certamente semplice abbracciare un tempo come il nostro ma l’unico modo per godere dei giorni eccezionali è imparare a riconoscere il valore di un giorno normale.

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Autore: Silvia Torrieri

Da sempre affascinata dalla mente umana diventa psicologa clinica per saperne di più, innanzitutto di sé stessa. Alla continua ricerca delle motivazioni che spingono i comportamenti, si specializza nelle "nuove dipendenze" e approda alla Media-Comunic-Azione® diventando counselor Relazionale. Lavora nell'ambito della relazione d'aiuto in diversi contesti e nella professione privata. Condivide con Avalon i valori della formazione continua, l'etica professionale e la crescita personale.

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