Diverse sì lontane mai

Sono passati circa tre anni dall’ultima volta che Alice (nome di fantasia) è entrata nel mio studio. Ora ha ben sedici anni indossati con una mescolanza di timidezza e arroganza. Veste una t-shirt con le frange che mostra l’ombelico e quel seno orgogliosamente tondo e prepotente come lo sguardo che rivolge alla madre che entra in stanza con lei.

Alice ha smesso di tagliarsi la pelle, ora i polsi sono pieni di braccialetti colorati. Sul dorso delle mani le cicatrici sono ancora visibili soprattutto al cuore aperto di chi conosce il dolore acerbo ma non meno indulgente di un giovane.

La minigonna rosa fa arrabbiare la madre ormai esausta per via dei continui litigi su tutto, ed è proprio lei, questa volta, a parlare per prima. Mi dice, come se Alice non fosse nella stanza, che la figlia è ingestibile : “Dottoressa non è ribelle per un ideale, non combatte per un pensiero, sbraita per cose inutili, come per uscire la sera o per frequentare chi vuole”. Alice mi guarda per carpire nel mio sguardo una mia possibile alleanza con la madre ma non trova nulla se non l’attenzione per le parole dette.

L’aria si riempie subito di rabbia. Posso sentirla scoppiettare come un fuoco che brucia senza produrre la brace. Alice diventa rossa che se avesse potuto avrebbe gridato ma, con un filo di voce pungente, sussurra alla madre: “Tu non capisci niente, non hai mai capito niente”.

Ora la rabbia divampa insieme ai toni marcati e fintamente autorevoli di entrambe. Se ne dicono tante e nessuna realmente condivisa.

Dopo la sfuriata il silenzio torna a calmare gli animi. La donna continua a spiegarmi la situazione in casa e la tensione con suo marito, il papà di Alice. Tante parole per dire che sono in procinto di separarsi: “Vede, io vorrei che lei supportasse mia figlia in questo delicato passaggio”.

Alice a questo punto non ci sta più e sbotta, di nuovo :”Mamma io non devo essere aiutata a fare niente, tu e papà sì.”

La mamma mi guarda scoraggiata e in quello sguardo una supplica di aiuto di chi davvero non sa come indossare i panni di una donna e di una madre insieme.

Il dolore per quella distanza è netto come lo strappo di un panno di cotone. 

Come si fa a conciliare tutto? Non lo so.

“Non lo so più” mi dice.

Mi racconta che quando Alice era bambina loro erano una sola cosa, che le si attaccava alle gambe e lei camminando la trascinava con sè. Si dilunga nel ricordo di un bagno interminabile nella vasca idromassaggio dove Alice aveva versato troppo bagnoschiuma, delle risate insieme, di quando si sono gettate in mare con tutti i vestiti, della spesa al supermercato mano nella mano a contrattare i ciocorì. Potrebbe soffermarsi nel racconto di mille ricordi.

E tra l’imbarazzo e l’emozione bisbiglia: “Mi manca” e con le lacrime agli occhi rivolge alla figlia un rapido sorriso.

E’ davvero così, questa donna sente di nuovo lo strappo come in sala parto, quando lo sforzo e il dolore le laceravano la carne.

Quanto amore in tutto questo marasma, quanta cura mescolata alla rabbia, quanto coraggio nell’essere genitori, e figli.

La seduta termina di lì a poco.

Rimango nella stanza svuotata e, come al solito, mi concedo di sentire e di appuntarmi parole ed emozioni appena provate.

Non posso fare a meno di vivere lo sgomento di questa madre che non riconosce più in sua figlia una parte di se stessa.

Mi viene in mente la Sindrome dell’arto fantasma, una condizione medica in cui persiste la sensazione di un arto anche se amputato. Questa madre, per la seconda volta, sente che sua figlia è altro da sé, non è più parte del suo corpo e più si allontanano e più è forte la pena del distacco.

Comprendo nettamente come l’evoluzione del loro rapporto passi inesorabilmente attraverso l’accettazione di ciò che hanno davanti agli occhi: un quadro in movimento come certe figurine che se inclinate mostrano immagini che cambiano e si muovono. Si chiamano figure a doppio riflesso poichè mostrano scene diverse a seconda dell’angolazione con cui il nostro occhio le guarda.

Ecco dolce madre, forse la soluzione è proprio questa, cambiare l’angolazione del tuo sguardo verso Alice che, lo so, vorresti di nuovo nel grembo, quando protezione e amore non ammettevano distanze e per capirsi bastava un sospiro o un singhiozzo.

Alice è quella trasformazione che non puoi fermare, la stessa che hai vissuto tu per essere chi sei. Accoglila

 

 

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Autore: Silvia Torrieri

Da sempre affascinata dalla mente umana diventa psicologa clinica per saperne di più, innanzitutto di sé stessa. Alla continua ricerca delle motivazioni che spingono i comportamenti, si specializza nelle "nuove dipendenze" e approda alla Media-Comunic-Azione® diventando counselor Relazionale. Lavora nell'ambito della relazione d'aiuto in diversi contesti e nella professione privata. Condivide con Avalon i valori della formazione continua, l'etica professionale e la crescita personale.

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