In compagnia del dolore

Qualche giorno fa ho letto un’intervista, pubblicata da una rivista musicale, a Nick Cave, famoso cantautore e scrittore australiano, leader della band “Nick Cave and the bad seeds”.

Tra l’altro, raccontava la sua tragica esperienza vissuta nel 2015: suo figlio Arthur di 15 anni ha perso la vita a causa di una caduta accidentale da una scogliera nel sud dell’Inghilterra

«Negli ultimi anni Susie [Bick, moglie del cantante e madre di Arthur] ed io abbiamo imparato molte cose circa la natura del dolore. Abbiamo capito che non è una cosa che si attraversa, perché non ha mai fine. È diventato uno stile di vita, un approccio all’esistenza che ci ha portati ad accettare l’incertezza di questo mondo e allo stesso tempo a sfidarne l’indifferenza (….)  Il dolore è diventato sia un atto di sottomissione che di resistenza, un luogo di estrema vulnerabilità nel quale, col passare del tempo, abbiamo sviluppato una percezione più spiccata della fragilità dell’esistenza”

Mi colpisce molto la sua ricerca di una modalità di convivenza con l’intensa, inimmaginabile sofferenza che consegue alla perdita di un figlio, uno tra gli eventi più devastanti e difficili a cui sopravvivere.

Penso infatti che nella maggior parte dei casi, dopo la morte del figlio, un genitore sopravviva soltanto, nella grande difficoltà di continuare la sua vita.

Nella comprensione di quell’unico, viscerale legame con un altro essere umano che è letteralmente parte di noi, in seguito a questo distacco definitivo, capita spesso che il vuoto lasciato venga riempito dalla sensazione di mancanza di senso della vita in sé.

In alcuni casi l’immagine che mi viene in mente ascoltando la descrizione di quella condizione disperata, è trovarsi chiusi in una stanza con il proprio enorme dolore, percependosi molto distanti dagli altri, dietro una porta chiusa, e con la compagnia forzata di poche emozioni totalizzanti.

Costretti a percepire la propria fragilità e impotenza, si può tendere verso la chiusura, magari con tanta rabbia.  

Può essere arduo accogliere la propria vulnerabilità, insieme alla sofferenza, e provare ad aprire nuove porte. Ma con la giusta cautela, perché ogni esperienza sarà condivisa con un nuovo importante compagno interiore, potremmo continuare a vivere davvero.

“Abbiamo scoperto che il dolore era molto di più di semplice disperazione”, continua Cave. “Abbiamo capito che il dolore conteneva molte cose: felicità, empatia, comunanza, tristezza, rabbia, gioia, perdono, combattività, gratitudine, stupore e persino un po’ di pace. Per noi il dolore è diventato un atteggiamento, un sistema di credenze, una dottrina, un modo di abitare con consapevolezza il nostro io vulnerabile, protetto e arricchito dall’assenza della persona che amavamo e che abbiamo perso (…)

In definitiva, il dolore è un insieme di cose: è fare i piatti, guardare Netflix, leggere un libro, contattare gli amici su Zoom, starsene da solo, persino spostare i mobili della casa, se serve.”

Ho riportato queste parole dalla sua intervista con stima ed ammirazione, perché trovo la sua esperienza un forte esempio di tenacia e di Possibilità: nonostante la fatica, a volte enorme, possiamo scegliere di continuare a creare ogni giorno la nostra vita…

Gestendo a poco a poco le tante emozioni distruttive o la tendenza alla demotivazione, che possono emergere, evitando inoltre che compromettano le relazioni con chi ci è più vicino.

Forse prendendo il dolore per mano, per continuare a camminare in sua compagnia.

E magari qualche primo importante passo ci può consentire di aprire uno spiraglio verso ciò che ancora esiste fuori di noi, e in un certo senso può essere apprezzato.

 

“ Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non è dolore”  Fernando Pessoa

 

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Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

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