La vibrazione della ceramica

Vent’anni e più di esperienza, con dei punti fermi che fanno da base. Ma sempre pronti a ricominciare, mai stanchi di sporcarsi le mani all’insegna del “virus positivo dello sconcerto, sapendo che gli oggetti finiscono nelle mani delle persone. E per crearli quindi bisogna usare strumenti sottili” per dirla con le loro parole.

Loro sono Dario Oggiano ed Elisabetta Di Bucchianico, 43 anni, creatori di un progetto che unisce disegno industriale – come il corso di laurea dove si sono conosciuti, a Pescara – per poi passare a Venezia alla facoltà di design. Per approdare infine nel centro storico del capoluogo adriatico, da dove hanno avviato la prima bottega di oggetti in ceramica, per poi ampliarsi ed affrontare, adesso, un nuovo trasloco, sempre in un locale nella stessa zona. “Nella nuova sede ci sovraesporremo – raccontano – unendo l’entusiasmo mai sopito, la chiarezza delle regole che ci siamo dati e la consapevolezza della fatica immane che richiede il processo creativo”.

Una storia, la loro, che a leggerla a ritroso sembra fosse già scritta. Hanno avuto il coraggio di saperla ascoltare e di trasformare un’ispirazione in progetto di vita. Da un mini corso di ceramica seguito per caso alla scoperta del mondo di un materiale “che è il più corruttibile immaginabile, che se lo bagni si scioglie ma può diventare eterno, come la pietra – come raccontano -. Nella nostra storia c’è una successione di eventi, di incontri che si direbbero accidentali ma che sembra ci stessero aspettando. A vederli ora c’è un filo conduttore, una coerenza”.

Dare spazio alla propria parte bambina, dunque, nonché sperimentare, cercare forme nuove e creare oggetti come la Neola che da dolce tradizionale abruzzese diventa – in ceramica – un “posa cose”. Affidandosi all’istinto e rischiando anche, immaginando creazioni che non c’erano e che non trovavano spazio in un canonico business-plan. Oppure trovarsi a comprare della lana e osservare per caso una forma di sale scolpita nel sale dalle lingue di un gregge di cento pecore e chiedersi se “in un mondo pieno di tutto abbia senso aggiungere oggetti” sempre nelle parole di Dario ed Elisabetta. E quindi, sì, copiare dalle pecore e farne un vaso in ceramica in tiratura limitata da cento pezzi numerati.

Eccola la nuova ceramica popolare contemporanea, oggi con il vantaggio della conoscenza degli strumenti del fare e “stando sempre un po’ nello scomodo, perché bisogna passare nella sofferenza per far camminare il cervello” come aggiungono i ragazzi di Arago design. Senza dimenticare una buona dose di ironia e di grottesco, come quando sul catalogo della Biennale di Venezia hanno presentato “Birillume”: una lampada ma prima ancora il primo prodotto “in plastica fossile nella storia dell’umanità” come da catalogo, appunto. Sempre tutto all’insegna della bellezza.

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