Saper proteggere se stessi

Cari lettori, quante volte rispetto alla vita ci sentiamo sguarniti, esposti, come se qualsiasi cosa potesse colpirci e produrre una ferita? In realtà la nostra vita di relazione comincia proprio così. Da una ferita, che involontariamente, il più delle volte, ci infliggono le prime persone con cui entriamo in contatto. I genitori, quindi, la famiglia. Non certo per una volontà di arrecarci sofferenza, quanto per la vulnerabilità che anche loro portano, che li rende spesso impreparati alle evenienze e al fornire una risposta ecologica sul momento. Altre volte non hanno davvero alcuna responsabilità…. È che, come bambini, ci sentiamo feriti nel primo istante in cui avvertiamo i nostri bisogni non soddisfatti subito o addirittura appagati preventivamente. Quando questa condizione si verifica, si innesca in noi l’istinto di cercare una strategia per procacciarci ciò di cui abbiamo necessità e comincia a formarsi la nostra personalità, ossia quell’insieme di qualità che ci caratterizza agli occhi del prossimo.

Proteggere se stessi è un fatto naturale, legato all’istinto più radicato. Quello di conservazione. Perciò riguarda la nostra parte maschile e paterna, il sé che ha consapevolezza ed esperienza del proprio territorio e si rende conto che è il suo spazio vitale. Vita è infatti prima di tutto preservare una condizione di salute. Ci proteggiamo quando ci garantiamo almeno il necessario alla sussistenza da un punto di vista materiale e anche affettivo-relazionale. Il bambino che è in noi sente uguale bisogno di cibo e amore. La vita non è di fatto possibile, se manca totalmente una di queste due componenti sostanziali.

In realtà cominciamo istintivamente a proteggerci dal momento in cui perdiamo l’innocenza e iniziamo a vivere nel mondo, allargando la nostra esperienza dalla dimensione dell’io alla sfera degli altri. Le strategie che creiamo inconsapevolmente sono infatti un meccanismo di sopravvivenza e di preservazione. In quel momento avviene un passaggio fondamentale. Il bambino interiore fa un passo indietro, lasciando emergere il genitore che piano piano si sta formando in noi.

Quando pensiamo di non saperci proteggere, ci inganniamo. La nostra vita è una prova palese del contrario ed è importate riconoscerselo, onorando questa abilità. Non saremmo arrivati ad oggi, se non fossimo stati in grado di affrontare le prove, i tranelli, le delusioni, gli ostacoli, le fatiche che il procedere del tempo ci ha posto davanti… perché se la protezione che esercitiamo non è adeguata, rischiamo la morte o la follia.

Protezione è quindi prima di tutto un istinto e come tale può essere educato. Possiamo infatti calibrarne il volume e riflettere su QUANDO sia necessario nella quotidianità difenderci o quando sia invece importante abbassare le difese per non impedire il passaggio di messaggi costruttivi e sani, utili a nutrirci interiormente. L’eccesso di protezione è infatti deleterio quanto la mancanza.

Oltre riflettere sul ‘quando’, occorre comprendere ‘DOVE’ difendersi. Per paradosso il contesto che spesso ci depriva di più e ci fa sentire maggiormente vulnerabili è la famiglia di origine, in cui siamo tutti abituati a vederci sempre nello stesso ruolo e a riprodurre dinamiche che si consolidano negli anni diventando stagnanti. Per affrontare in maniera più equilibrata i propri familiari, è utilissimo sviluppare una serena distanza interiore da loro, lavorando sulla propria autonomia e sul proprio modo di stare nel mondo. Ritornare in famiglia significa saper gestire il rapporto con i cari non più da figli carichi di aspettative e di bisogni di gratificazione o di riconoscimento, ma da adulti, consci che l’unico genitore verso su cui riporre attese è quello interiore.

E da adulti, occorre portare nella vita la consapevolezza che possiamo scegliere e creare per il nostro bene un ambiente protetto, di cui i protagonisti siano persone che ci sono affini e che risuonino col nostro modo di sentire.

Dobbiamo infatti ricordare a noi stessi che la creazione di ambiente protetto è una caratteristica indispensabile alla qualità della nostra vita e ci aiuta a gestire le relazioni in maniera serena. Perché ciò avvenga prima di tutto sarà fondamentale stabilire delle regole condivise di buon vivere, ispirate ai valori che avvertiamo essere alla base della nostra etica. Non è quindi protetto un ambiente in cui non ci sia rispetto per l’interiorità, in cui non ci siano confini, in cui si dia troppo e soprattutto ci si senta giudicati.

Ciò che rende il nostro bambino interiore sereno è la possibilità di manifestarsi per quello che è, senza dover subire il dolore dell’etichetta. Ha bisogno di percepire fiducia nei suoi confronti, ma anche CONTENIMENTO.  Le buone regole, che danno confini, che definisco i sì e i no, diventano un corrimano certo, il punto di riferimento da cui si prescinde per fare esperienza o cui si ritorna nei momenti di disagio.

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