Che maschera indosso?

La maschera è travestimento, gioco, teatralità, simbolo, feticcio.

La maschera che piace indossare ai bambini a Carnevale è divertimento, gioco, magia, con l’entusiasmo di sentirsi un personaggio che gli piace, e li fa sentire più forti, belli, cattivi, ammirati ecc., per un breve tempo.

Trovo interessante l’origine del Carnevale: risale al Medioevo, a Venezia in particolare, dove il popolo si poteva concedere di osare, trasgredire, percependo un potere (persino di deridere il doge), solo in quella breve circostanza, per poi tornare alla norma una volta finito il Carnevale e tolta la maschera.

In questi ultimi giorni notavo quanto sono ormai numerosi i gruppi di bambini che si travestono e girano per la città il 31 ottobre, ben lieti di indossare le sembianze di scheletri, streghe e mostri, dando spazio alla paura, alla morte e agli aspetti più inquietanti della vita.

Trovo che sia un’ottima opportunità per valorizzare antiche tradizioni appartenenti anche alla nostra cultura (festa di Ognissanti e ritualità dedicate alle anime dei defunti), e mitigare i tabù, cresciuti in epoca recente, verso la morte e i “lati ombra” in noi.

Consideravo poi il volto di Joker (protagonista e titolo di un recente film di successo): è stata un’immagine ricorrente, nell’ultimo mese o due, su riviste, canali social e mass media in genere e le caratteristiche del personaggio hanno fatto molto parlare…

Joker rappresenta il folle pagliaccio triste che diventa certamente una maschera forte e conturbante.

Mi fa riflettere molto anche il volto bendato di Miss Keta: una cantante che sta riscuotendo un certo successo, che si mostra soltanto con il volto coperto da una benda e occhiali scuri (un esempio tra i tanti cantanti che si esibiscono in anonimato ormai), senza età e senza provenienza, che forse utilizza questa modalità per essere dissacrante, trasgressiva, apparentemente più libera grazie alla protezione della maschera.

Di certo nell’epoca dei selfie a tutti costi, di Instagram e dell’esposizione mediatica ad oltranza, non mostrare il proprio viso (e in realtà quasi nulla di sé), diventa una provocazione che attira senz’altro l’attenzione e sollecita l’immaginazione di chi guarda.

Quindi “siamo maschere” come Pirandello sostiene, e non le indossiamo, come potremmo pensare immediatamente.

Siamo persone. Etimologicamente dal latino Persona significa “maschera dell’attore”, ma anche “per-sonare” in quanto veniva usata per amplificare la propria voce.

Pertanto potremmo definire la Persona che mostriamo di essere, come la parte di noi, tra le tante, a cui diamo più spazio, o che amplifichiamo in quel momento o in quella situazione di vita.

Corrisponde al ruolo che agiamo nel nostro contesto sociale (anche secondo le teorie degli archetipi junghiane).

Ma quale maschera scegliere?

Questa semplice domanda a me sembra già evocare la potenza che la maschera racchiude…

Credo che sia fondamentale innanzitutto avere coscienza che potenzialmente ciascuno è in grado di decidere lucidamente cosa presentare di sè.

Poi comprendere che non stiamo nascondendo qualcosa agli altri camuffandoci, ma che vogliamo sottolineare una nostra caratteristica, amplificare una nostra virtù, o anche adeguare “l’abito all’occasione”.

Certo ci sarà molto utile una buona adattabilità per poterci contestualizzare al meglio: la vita ci chiede di essere figlio, compagno, genitore, professore, impiegato, medico, avvocato, evitando di identificarci con un solo ruolo (ad es. se rimango avvocato anche quando mi relaziono con i miei figli o amici può non essere sano).

In molte circostanze la giusta maschera è indispensabile per proteggere le nostre vulnerabilità.

Lasciare scoperti i nostri lati più intimi, in un contesto magari valutato erroneamente rispettoso o accudente, può produrci delle difficoltà nella relazione o delle sofferenze.

Diventa senz’altro importante fare attenzione anche all’eccesso di tutela della fragilità: rischia di diventare volontà di negare o nascondere tenacemente le nostre debolezze.

Tra gli obiettivi verso cui lavorare tenacemente metterei invece l’accoglienza di ogni maschera che vive in noi.

E naturalmente Maschera è anche tantissimo altro…

 

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Autore: Alessandra Caroli

È counselor relazionale ad indirizzo mediacomunicativo ed educatrice professionale. Per Avalon si dedica da anni ad attività di counseling, tutoring e organizzazione di eventi. Coordina le attività didattiche ed è parte del corpo docente della Scuola di Counseling e Media-Comunic-Azione. Si occupa di counseling e formazione in contesti pubblici e privati, con un’esperienza decennale in ambito sociale, attraverso progetti di riabilitazione per la disabilità psico-fisica di adulti e bambini e di sostegno alle famiglie. Da sempre ama approfondire la conoscenza di luoghi e culture diverse, unendo quindi il viaggio fuori al viaggio dentro di sé. Con entusiasmo, attraverso la rubrica “Il punto di vista del counselor”, si occupa di sostenere e divulgare questo approccio alla crescita personale e di favorire nel lettore un ampliamento delle prospettive nell’affrontare la quotidianità.

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