Il suo nome è Beck, Heinz Beck.

“La crisi c’è perché ne continuano a parlare. Focalizzano l’attenzione solo sulle negatività. D’altra parte in questo modo catturano l’audience che ama gli aspetti bui. Invece, occorre guardare sempre al prossimo obiettivo, quello già raggiunto appartiene al passato, considerarlo è una perdita di tempo. Guardare dietro è autocelebrazione: l’inizio della fine! Bisogna sempre cercare nuovi orizzonti, obiettivi e ritmi.”.

Gli occhi azzurri di Heinz Beck non smettono di muoversi mentre, lo chef pluristellato e riconosciuto universalmente come uno dei più noti esponenti della gastronomia mondiale, sorseggia il suo tè verde.

Ci troviamo alla “Pergola” il ristorante romano posto tra i primi cinque migliori ristoranti al mondo.

“Come si diventa uno chef pluristellato?”.

“Non è stato un progetto. Non ho pensato che entro due anni avrei dovuto ottenere una stella e poi un’altra e così via. Il mio obiettivo è stato ed è quello di soddisfare al massimo i miei clienti, migliorando costantemente la qualità del cibo, di soddisfare i loro bisogni, quelli primari. Chi viene alla Pergola deve ritrovarsi. La creatività non manca e nonostante i tremila ristoranti romani, ci siamo ritagliati una nostra fetta.”.

“La mia cucina è indirizzata al benessere degli ospiti, alla salubrità dei piatti. – continua Heinz- Sono dieci anni che analizzo questi aspetti e che porto avanti studi sull’oscillazione insulinica postprandiale, con la collaborazione di scienziati e medici. A innescare la miccia è stata l’osservazione di una cardiologa tedesca che venne a cena qui, tanti anni fa. La dottoressa era diabetica e insulina dipendente. Mangiò sei portate, e mi chiese come avessi preparato quei cibi, poiché, per la prima volta dopo una cena abbondante, non aveva dovuto far ricorso al farmaco.

Per me quell’affermazione meritava attenzione.

Ho iniziato a pensarci, ne ho parlato con il professor Panfili, abituale frequentatore del mio ristorante. Abbiamo passato pomeriggi a confrontarci sulla salute e sull’alimentazione. Il risultato è stato una vera ricerca, condotta su due gruppi di persone per i quali sono stati preparati menù differenti e che sono state oggetto di misurazioni insuliniche a intervalli regolari. Lo studio aveva un comitato scientifico, un responsabile. Il tutto è stato ripreso anche da una troupe televisiva. Questo accadeva sette anni fa. Abbiamo tentato di far pubblicare o mandare in onda il breve “documentario” che ne era scaturito, ma i media rifiutarono dicendo che non interessava.”

Chef Heinz sorride divertito alla mia evidente espressione sbalordita.

“Mi creda, ero troppo in anticipo con i tempi. Oggi ne parlano tutti, ma la ricerca sarebbe vecchia ormai. Al congresso internazionale di Cardiologia ho parlato per due ore di alimentazione e ipertensione; da qui è nato un libro seguito, poi, da -Consigli e ricette per piccoli Gourmet- contro l’obesità infantile. Un progetto di responsabilità sociale. I libri sono stati distribuiti gratuitamente in farmacia o attraverso la Federazione italiana di medici Pediatrici perché dovevano arrivare a chi non poteva permetterselo.

“Nella mia cucina usiamo pochissimo sale, compensando con i Sali minerali presenti nei cibi. Qualità unita al Benessere per il cliente. Un cibo di qualità può essere goloso ma anche salubre. Tutto dipende da come si lavora la materia prima e da cosa si vuole ottenere: per esaltare la dolcezza delle verdure, la cottura dovrà essere lenta; se, invece, si ha bisogno di Sali minerali o vitamine, occorrerà lavorare la materia in un modo totalmente diverso.

“Una scienza” – esclamo rapita da ciò che ascolto.

“Un’intuizione- mi corregge Chef Heinz. Su cui riflettere e cercare il perché”.

La personalità di quest’uomo è notevole ma anche la leggerezza con cui la indossa.

“ Ha sempre voluto fare lo chef?”

“Volevo fare il pittore –mi risponde- studiare all’accademia di belle arti ma mio padre non lo considerava un lavoro, al più un hobby. E così ho scelto la cucina, perché, anche quella, non piaceva a mio padre, ma era un lavoro!”.

Gli occhi sorridono al ricordo.

“La cucina è un’arte e lei voleva fare l’artista” rilevo.

“Mi considero un artigiano non un artista. Anche il pittore o lo scultore sono artigiani. Se poi si arriva al livello del Bernini, allora possiamo parlare di arte.

E così sono uscito da casa a quindici anni ed ho continuato solo con i miei mezzi; il primo compenso era di 160 marchi al mese e ne pagavo 100 per la camera che dividevo con un altro ragazzo. Nei fine settimana non si mangiava molto ma avevo la mia libertà; si cresce e si apprezza tutto molto di più.”.

Si guarda intorno, come a seguire un pensiero improvviso, poi, sempre con il sorriso, riprende:

Se dovessi perdere quello che ho, non cambierebbe molto; provengo da un percorso diverso che mi ha insegnato tanto… “.

Dopo la scuola sono diventato maestro chef; ho dovuto ottenere un diploma pedagogico, perché in Germania è obbligatorio per avere degli allievi. Dopo cinque anni di esperienza sul campo, il maestro chef può conseguire un master in gestione aziendale. E così ho fatto anche quello, ventisei materie, dalla Domenica al Sabato, dalle nove alle diciannove.”.

“Chef, come individua i bisogni primari dei suoi clienti?

“Cerco il confronto. Ogni sera, giro tra i tavoli parlando con gli ospiti. Li ascolto, li guardo attentamente. Preferisco ascoltare piuttosto che parlare, anche se ora non sembra, –inoltre se parlo non imparo nulla di nuovo poiché le dico io, le cose- ride divertito- mentre ad ascoltare, s’impara molto di più. Ascolto e comprendo ciò che non va anche se il cliente non cita il cibo. Ci si rende perfettamente conto della situazione dando la giusta attenzione all’altro.

Certamente non si possono realizzare cose perfette tutti i giorni, nuove sì però; qualcosa sarà di livello, qualcosa no e qualcos’altro sarà stratosferico. Occorre, allora, gestire il tutto, scegliere con cosa proseguire il cammino o cosa abbandonare.

Tutti i giorni dobbiamo scegliere. Fare la scelta è facile, difficile è conviverci.

“ E la brigata? Come sceglie i suoi ragazzi? Quale criterio adotta?”

“I raccomandati non m’interessano assolutamente! Invece le motivazioni vere, quelle sì. Ho un ragazzo con me che è un direttore d’orchestra, laureato al conservatorio, pianista, con un bagaglio di concerti anche internazionali. Essendo romano, ogni volta che tornava dai suoi eventi mi chiedeva un appuntamento per discutere e parlare, finché un giorno mi ha annunciato che voleva fare il cuoco. Gli ho permesso di venire qualche volta qui, per rendersi conto, poi, poiché insisteva, ha fatto uno stage di circa tre mesi, al termine del quale l’ho mandato via spingendolo verso la musica vista la bravura anche da compositore. E’ tornato dicendo che voleva fare il cuoco non il direttore d’orchestra e ora sto pensando di mandarlo nel mio ristorante in Algarve, Portogallo, perché il gruppo è molto più piccolo e può crescere più velocemente. Ha trentaquattro anni e quindi non ha tutto il tempo che hanno i ragazzi.”.

“Quanti altri ristoranti gestisce? Chiedo curiosa, cogliendo lo spunto da quello portoghese che ignoravo.

“Oltre alla Pergola e il Gusto, in Algarve, c’è Apsleys- a Heinz Beck Restaurant, a Londra, il Ristorante Castello di Fighine in Toscana aperto da poco e il “Cafè les Paillotes” a Pescara dove, però sono solo consulente.

“E riesce a gestirli tutti?” – sono incredula.

Non vedo molto mia moglie- ride ancora – anche se ne ho una fantastica cui devo tanto. E’ il mio consulente in assoluto e soprattutto il mio primo critico che mi spinge ad andare avanti in un certo modo. Fa un lavoro duro perché, per chi è sullo sfondo e lavora nell’ombra è molto più difficile trovare la motivazione rispetto a chi è celebrato.

“Riesco a gestirli. – riprende –Per fare questo lavoro, occorre tanta passione. Le trasmissioni che impazzano oggi danno una visione diversa, spingendo i ragazzi a credere che sia una professione semplice che permette di arrivare alla fama. La realtà è che solo pochi riescono ad arrivare a quei livelli. Per gli altri è duro lavoro e tanta fatica. Per questo la passione è fondamentale”. Non amo queste trasmissioni d’intrattenimento. Mi piacciono quelle, invece, di Discovery Channel, o National Geographic anche se il mio televisore è di solito spento. Ascolto Radio ventiquattro per le informazioni e sento tutti i tipi di musica. Amo l’opera da Wagner a Verdi. Wagner non l’ho ascoltato per trent’anni dopo che a quindici mio nonno me lo aveva fatto sentire per dodici ore. Tre anni fa, alla Scala, ho assistito alla prima della Valchiria e sono tornato ad amarlo. Scelgo le opere con attenzione, verifico il direttore d’orchestra, gli interpreti. Ho poco tempo da dedicare agli svaghi e, quindi, curo la scelta per regalarmi tre ore di benessere. Effettivamente dovrei migliorare l’aspetto della vita privata e del tempo libero. Mi piacerebbe dedicarmi al golf. Uno sport che si pratica nella natura, che ha un obiettivo preciso, quello di abbattere il proprio handicap; è un gioco di strategia, dove tener conto di tanti fattori, dall’ambientale alle tipologie di mazze. Nella totale tranquillità del verde che stimola la voglia di vivere.

“Vuole vedere la mia cucina?” mi chiede alzandosi.

Lo seguo entusiasta.

La cucina è grandissima e lucidissima. Il tempio di Heinz Beck.

Entriamo mentre stanno pulendo il pavimento.

“Il pavimento deve essere lavato cinque volte al giorno, che sia sporco o pulito non importa; ci sono gli orari e vanno rispettati. Durante il giorno abbiamo la musica e i notiziari, per far si che i ragazzi restino in contatto con il mondo. D’altronde passano tante ore qui dentro. Durante il servizio, invece, c’è silenzio. ”

Prosegue descrivendomi i vari spazi.

“ La cucina deve essere linda come le divise. Tutti devono essere assolutamente curati, nei capelli, nella barba, nelle unghie e nell’abbigliamento. Quando arriva qualcuno nuovo e, magari, il primo giorno si presenta con la barba incolta, gli chiedo – perché arrivi così?- Forse mi hai visto in questo modo? La cura di sé è fondamentale. La mattina occorre darsi del tempo per prepararsi, dedicare uno spazio ampio a se stessi, perché nello stesso modo in cui ti prepari, così la giornata torna verso di te e se non dedichi qualità a te stesso, non puoi dare qualità a ciò che fai.”.

Heinz Beck esce dalla cucina e capisco che il tempo è finito. Mi saluta con calore e con un sorriso aperto; lo vedo rimmergersi nel suo regno, con l’impegno appena raccontato e con i nuovi obiettivi da raggiungere.

Lui che nonostante le tre stelle e le cinque forchette Michelin continua a guardare avanti; lui che è già leggenda.

 

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4 thoughts on “Il suo nome è Beck, Heinz Beck.

    1. sabrina

      Grazie Marcella,
      Heinz Beck si è rivelato un uomo di notevole spessore, di grande umiltà e, come dice lui, intuito. L’essere riuscita a trasmettere ciò che ha trasmesso a me, mi spinge a continuare la ricerca di storie di belle realtà.
      Un abbraccio grande

      sabrina

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